CURIOSITA & NEWS

Il contrappasso del precario: dal fallimento alla speranza

a cura di Laura Berardi – Dalla Rubrica “Cartastraccia

In questa puntata di “Carta straccia” vorrei leggervi una poesia. Chi mi segue sa che mi dedico con interesse alle tematiche del lavoro, sia con la mia rubrica su Linkedin sia con letture spesso “a tema”, come in questo caso. Ebbene si tratta de:

Il contrappasso del precario”.

Sorrisi agonizzante ai miei aguzzini

mentre con un enorme tuffo sprofondavo in una vischiosa melma nera.

Dopo un altro fallimento mi guardavo recitare lo stesso copione:

un profluvio di saluti, inchini, baciamamo e ringraziamenti.

Avevo i capelli lordati di antropici liquami

e sentivo i miasmi della disoccupazione che mi aspettava

ma nessuno sembrava vedere quel mosto o percepirne il fetore.

Cercai di risalire dalla sordida pozza ma ne ero inquinata fin dentro alle ossa.

Potevo sentire il fragore della Solitudine che mi richiamava a sé,

la sua tragica eco che mi afferrava con unghie ripugnanti, facendomi rabbrividire.

Avevo nelle narici l’afrore della Tenebra che già mi aspettava

senza scampo alcuno, in una prospettiva gattopardesca.

Sempre esiliata e incapace di fare breccia

mi trovavo fuori da quel mondo elitario, da quelle mura,

con la terra che mi si sgretolava sotto i piedi

in un cerchio di dimenticanza che ruotava all’infinito.

Dannata come Sisifo a ritentare per sempre

rividi nella mia mente il giorno

in cui i colleghi mi lasciarono andare,

ignari di regalarmi nuovamente l’oblio:

rividi urla, pantere, cagne, lottatori,

fiere strette ad asse che si faceva cerchio e arena

asserragliati per difendere un posto e un luogo

in un duello tra miserabili.

Io da poco padrona della mia vita

ero come la regina di un regno malato ed imperfetto:

vani abnegazione, sacrificio, adulazione e panegirici d’ogni sorta:

tornavo docile equilibrista alla fine degli applausi.

Sarebbe bastato rinunciare al futuro per porre fine a questo teatrino difettoso,

mi ostinavo invece a ritentare in eterno

stoicamente sollevandomi dal lerciume della mia condizione

sorridendo alle altre marionette con stolida speranza.

Superare il contrappasso del precario attraverso sogni e progetti.

Avete capito? “Il contrappasso del precario”, ignorando deliberatamente vincoli, registri e forme lessicali tipici della poesia classica, ci racconta un fallimento, una perdita. Si può intendere come un licenziamento, un trasferimento lavorativo oppure la conclusione di un contratto a termine. Quante volte è capitato anche a voi di sentirvi “dannati” come Sisifo, a ritentare ancora e ancora…e ancora! Ecco allora il rinchiudersi a riccio, il timore degli orizzonti vasti che si aprono, la paura di ricominciare e rimettersi in gioco, l’assenza di volontà.

Ma negli ultimi versi, questa poesia ci parla anche di speranza e di ostinazione! Per essere veramente uomini e donne bisogna coltivare sempre un sogno, un progetto, non rassegnandosi alla banalità, al grigiore, alla sopravvivenza. Quando Gesù parlava alla gente usava le parabole e con quelle scatenava la loro immaginazione. Iniziavano a pensare a qualcosa che non c’era: un padre che accoglie il figlio che lo ha mezzo rovinato, il samaritano che si prende cura di uno sconosciuto, il pastore che torna indietro a cercare la pecora che si era persa, nemici invidiosi che seminano zizzania e contadini pazienti che proteggono il grano.

Immagini bellissime, introvabili nella realtà ma che li facevano sentire beati. Talmente tanto che alcuni cambiarono il loro domani e iniziarono a seguirlo. Non è che da quel momento il mondo si fosse rovesciato però, un po’ alla volta, hanno trovato il modo di rovesciare la loro vita e salire in groppa a quel cavallo, ve lo ricordate? Quello del mio primo articolo che trovate qui pubblicato esattamente un anno fa!

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