SANTO DEL MESE

Sant’Agata, da Catania a Gallipoli e Galatina: storie di devozione e tradizione popolare

a cura di Massimiliano Dei Sommi

Il 5 Febbraio si fa memoria della Santa catanese Agata. Questo glorioso nome in greco Agathé, significa buona. Secondo la “Passio Latina” riportata negli “Acta Sanctorum”, Agata fu martirizzata sotto le persecuzioni dell’imperatore Decio, il 5 febbraio 251. Sant’Agata nacque nel 235 d. C. a Catania durante le persecuzioni contro i cristiani, che erano cominciate, intorno al 40 d.C. con Nerone, per proseguire più intense nel II secolo, giustificate da una legge che vietava il culto cristiano.

Nel 249 l’imperatore Decio, visto il diffondersi del Cristianesimo in Sicilia, fu ancora più drastico: tutti i cristiani denunciati o no, dovevano essere ricercati automaticamente dalle autorità locali, arrestati, torturati e poi uccisi. In quel periodo Catania era una città fiorente e benestante, posta in ottima posizione geografica. Il suo grande porto, costituiva un vivace punto di scambio commerciale e culturale dell’intero Mediterraneo.

Cresciuta nella sua fanciullezza e adolescenza in bellezza, candore e purezza verginale, sin da piccola sentì nel suo cuore il desiderio di appartenere totalmente a Cristo. Quando giunse sui 15 anni, sentì che era giunto il momento di consacrarsi a Dio. Agata disprezzò le attenzioni del proconsole Quinziano, professando apertamente la sua fede in Gesù Cristo. Il magistrato, dopo varie lusinghe, la fece sottoporre a feroci tormenti, ordinando che fosse torturata. Così ad Agata vennero stirate le membra, lacerata con pettini di ferro, scottata con lamine infuocate, ma ogni tormento invece di spezzarle la resistenza, sembrava darle nuova forza.

Il miracolo dell’Etna a Catania: l’intervento di Sant’Agata.

Allora Quinziano al colmo del furore le fece strappare i seni con enormi tenaglie. Ciò costituirà in seguito il segno distintivo del suo martirio. Infatti Agata viene rappresentata con i due seni posati su un piatto e con le tenaglie. Riportata in cella sanguinante e ferita, soffriva molto per il bruciore e dolore, ma sopportava tutto per amore di Dio. Nella notte mentre era in preghiera nella cella, apparve vicino a lei un vecchio, San Pietro, il quale le disse: “Sono l’Apostolo di Cristo, non avere timore di me o figlia.”. E le risanò le mammelle amputate.

Trascorsi altri quattro giorni nel carcere, venne riportata alla presenza del proconsole. Egli viste le ferite rimarginate, domandò incredulo cosa fosse accaduto, allora la vergine rispose: “Cristo, mio Dio, mi ha guarita.” Quinziano, perduto l’ultimo lume della ragione, ordinò che fosse arsa viva su un letto di brace ardente. Dopo il martirio, Agata venne ricondotta in carcere dove, prima di esalare l’ultimo respiro. Innalzò al Signore la sua preghiera: “Signore Gesù Cristo, maestro buono, ti rendo grazie perché mi hai fatto superare i tormenti dei carnefici. Fa, o Signore, che io giunga felicemente alla tua gloria immortale.” Detto questo rese la sua anima a Dio nelle prime ore del 5 Febbraio dell’anno 251 d.C.

Dopo un anno esatto, il 5 febbraio 252, una violenta eruzione dell’Etna minacciava Catania. Molti cristiani e cittadini anche pagani, corsero al suo sepolcro, presero il prodigioso velo che la ricopriva e lo opposero alla lava di fuoco che si arrestò. Da allora Sant’Agata divenne non soltanto la patrona di Catania, ma la protettrice contro le eruzioni vulcaniche e poi contro gli incendi.

Il culto di Sant’Agata nel Salento.

Il culto della martire Agata è diffuso anche nel nostro Salento, in particolar modo a Gallipoli e a Galatina per due vicende storiche. L’8 Agosto del 1126 venne ritrovata a Gallipoli la mammella della Santa, sulle spiagge a sud della città, poiché erano state imbarcate le reliquie della Martire da Costantinopoli per riportarle a Catania. Mentre era a lavare i panni in spiaggia una giovane gallipolina, si accorse che la figlioletta, lì con lei, aveva in bocca una mammella che non mollava a tutti i costi.

Accorsi sul luogo il Vescovo Baldrico, il clero e il popolo, all’invocazione della Santa catanese, la bambina lasciò cadere nelle mani di un sacerdote la mammella. Venne cosi identificata come la reliquia di Sant’Agata. E in segno di ringraziamento, venne proclamata patrona di Gallipoli e dell’intera Diocesi gallipolina. Sostituì anche il titolo della Cattedrale già consacrata a San Giovanni Crisostomo.

Questa vicenda è unita alla città di Galatina in quanto la reliquia rimase a Gallipoli fino al 1380. E’ l’anno in cui, per un colpo di mano di Raimondello del Balzo Orsini, principe di Taranto, fu trasferita, furtivamente, nel convento di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina. Dopo varie vicissitudini storiche non ebbe alcun esito la volontà di riportare la reliquia nella città dove venne ritrovata. Infatti nel tesoro della Basilica Cattedrale di Gallipoli resta solo il basamento inferiore della reliquia in argento e cristallo esposto nel Museo Diocesano.

Ancora oggi, il giorno della Solennità della Santa catanese, il 5 febbraio, nella Cattedrale di Gallipoli, il Vangelo viene proclamato anche in greco. Questo in ricordo dell’antica liturgia orientale con la quale veniva officiata la Santa Messa nella Diocesi di Gallipoli fino al 1504. Diversi sono gli inni e le preghiere che i gallipolini rivolgono alla Santa di Catania, segno della loro forte devozione.

Un detto popolare afferma che: “Sant’Acata te Catania, vene te sciaroccu e se nde vae cu tramuntana!”, sottolineando che generalmente le condizioni meteorologiche variano nei giorni dei festeggiamenti. Quindi si passa dal vento caldo di scirocco, al vento di tramontana che porta la frescura.

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