ARTE & SALENTO

Case d’altri tempi, quando avere acqua e luce non era così scontato

La Redazione – Foto scattate presso il Museo Civiltà Contadina e Tradizioni Popolari a Nardò

Le case d’altri tempi avevano, al centro del cortile, un pozzo d’acqua piovana, laddove era necessario per tutti attingere l’acqua con i secchi, aiutandosi con le carrucole. Chi non lo possedeva faceva uso delle fontane del paese. Al contrario, in campagna c’erano alcuni stagni incrementati dall’acqua piovana, molto utili per abbeverare le bestie. In pozzi alimentati da sorgenti sotterranee, chi poteva permettersi la spesa collocava dei tubi per produrre impianti idrici facendo in modo che l’acqua giungesse dal pozzo direttamente in casa.

In altri casi, si usava montare una pompa a mano che, tramite una leva, agiva sopra un pistone che, in alzata, aspirava potente e in compressione, espelleva l’acqua da una tubatura ricurva verso il basso facendo così in modo di convogliarla dentro al secchio. Si attingeva al momento e si beveva portando il bordo del secchio gocciolante alle labbra con grande refrigerio e soddisfazione. Per innaffiare i vasi si utilizzava l’acqua dove, continuamente, ci si lavava le mani o i piedi per rinfrescarsi, purché non fosse saponata.

La stufa a legno, con il camino, badavano a riscaldare ambienti e cuori di grandi e piccini. D’inverno la stufa si accendeva dalla mattina alla sera. Sulla base si poggiavano bucce d’arancia, o del mandarino, che profumavano la casa. La piastra di ghisa scura conteneva dei cerchi concentrici che si potevano togliere uno per uno. In tal modo proporzionavano il foro al diametro della bacinella per l’acqua calda.

I primi gesti delle mamme, la mattina, erano svuotare la cenere e accendere il fuoco nell’ambiente. Si percepiva l’odore leggero del fumo di ceppo e quello ferroso della piastra che stava, man mano scaldandosi, predisposta per il pentolino con il latte a bollire, mentre sul tavolo si allineavano, in perfetta fila, le tazze sparigliate con tante grosse fette di pane da inzuppare.

Nell’immagine lampada a petrolio e sveglia appartenente a generazioni precedenti.

Case d’altri tempi al sud caratterizzate per lungo tempo dalle lampade ad olio.

Nella stanza da letto, avevano un catino e una brocca pieni d’acqua assai utili per lavarsi al mattino. Soltanto il sabato si svolgeva la festa del bagno completo. Si scaldava un poco d’acqua intra allu quatarottu (grande pentola di alluminio), allu focu sotta lu focalire (al fuoco del caminetto). Dopo si riempiva una grande tinozza, che era posta in cucina e ci si lavava, a turno, con l’uso di un pezzo di sapone di Marsiglia, utilizzato per tutto, anche per lo shampoo.

Dopo due bagni, tuttavia, l’acqua si cambiava. Alcune famiglie usavano fabbricarsi il sapone in casa con l’uso di olio d’oliva, mescolato spesso a quello usato per frittura, filtrato, e con l’aggiunta di soda caustica. Tutto ciò fa riflettere molto sul benessere a cui siamo abituati a vivere oggi senza nemmeno rendercene conto. Lo spreco dell’acqua era per le famiglie impensabile. La luce era fornita da lampade ad olio, anche se l’illuminazione con candele si diffuse in fretta in tutta l’Europa del nord, trovando ai primordi molte difficoltà a svilupparsi nei paesi mediterranei, dove l’abbondanza e il buon mercato dell’olio rendevano inutile il suo utilizzo.

La giornata passava lenta, e quando il campanaro suonava la sera, fuori già la luce del giorno non c’era più e il buio faceva più triste un aspetto e un ritmo di vita, in casa, ancora più monotono. Le donne cominciavano i preparativi accendendo i lumi con luce di colore rossastro, costantemente accompagnata da un alone di fumo nero. Col passare dei minuti, si illuminava la lanterna portatile, collocata sotto un’immagine della Vergine o alla porta di alcuni conventi per schiarire le tenebre della notte e, soprattutto, per intimorire i ladri e gli assassini che si aggiravano indisturbati per le vie oscure incutendo terrore agli sfortunati viandanti.

Tratto da “Amarcord Salentino – Usi e Costumi d’altri tempi”

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