FOCUS MUSICALE

Oronzo Macchia, l’artista pescatore con la musica nel sangue

a cura di Raffaele Colelli

La lunga Riviera di Levante è gremita di gente che si lascia distrarre dalle numerose bancarelle. È una domenica soleggiata di metà ottobre e fa così caldo che sembra ancora estate. Sono diretto in via Manzoni, lì abita il signor Oronzo Macchia, ed è con lui che ho concordato un appuntamento. Busso più volte alla porticina che va direttamente in cortile, quando mi appare insieme a un largo e sincero sorriso la sua faccia simpatica. Indossa un paio di jeans, una maglietta a maniche corte e un fazzolettino colorato annodato intorno al collo che evidenzia il suo modo di essere artista.

Entro e mi faccio avvolgere dal calore della sua umile dimora capace di farmi rivivere la stessa atmosfera della casa dove, molti anni fa, sono nato. Le pareti della stanza sono tappezzate dai suoi quadri e dalle numerose foto ricordo. Diverse conchiglie colorate, differenti per genere e grandezza, realizzate nel suo magico laboratorio tra pennelli e colori, fanno bella mostra sopra delle mensole. Mi accomodo su di una sedia e aziono l’icona di registrazione del mio cellulare. Lui, decide di prendere posto sul lembo del letto e incomincia a raccontarmi, con tutta la naturalezza possibile, lo spaccato più importante della sua vita.

Ha 75 anni e devo dire portati così bene che a tratti mi sembra quasi un ragazzo, grazie anche a un fisico minuto, asciutto e ben proporzionato. Figlio di pescatore e primogenito di undici figli, di cui sei maschi e cinque femmine, anche se un destino beffardo ha voluto con sé e troppo presto, due delle sorelle e uno dei fratelli. Era il 1964 e a 15 anni la passione per la musica già lo aveva preso in totus, per quanto fosse stato possibile per quei tempi, condividerla con il lavoro e con la scuola. Anche se quest’ultima non rientrava assolutamente nelle prerogative principali delle famiglie di allora.

Oltretutto a lui piaceva anche studiare. Risultò così bravo e diligente da riuscire a concludere l’ottava classe, pari all’attuale terza media. Francamente ciò si evidenzia in modo tangibile nel parlare un italiano grammaticalmente corretto. Ma a un certo punto decide che la musica sarebbe stata il vero e unico scopo della sua esistenza. Vuole fare tutto per bene e per questo intende imparare a leggere le note. Così Oronzo Macchia prende lezione di solfeggio e lo fa con l’aiuto dall’allora maestro Cosimo De Pace.

Oronzo Macchia e il primo gruppo musicale, poi il trasferimento a Milano.

“La verde età” porta il nome del suo primo complesso musicale (tali venivano identificati i vari gruppi musicali nei favolosi anni ‘70). Cinque giovani musicisti carichi di passione e soprattutto di speranza in giro per le varie piazze dei paesi limitrofi a fare serate.

Oronzo restava senza alcun dubbio il leader indiscusso. Dei cinque elementi solo lui era in grado di leggere la musica e capace di suonare diversi strumenti che gli capitassero a tiro, soprattutto chitarra e pianola. E comunque del gruppo ne era la voce. Ma in quei tempi remoti Porto Cesareo era solo un borgo di pescatori dove al calar della sera il buio regnava assoluto, ad eccezione di alcune piazzole illuminate, da una traballante lampadina mossa dal vento.

Per i pochi abitanti del paese quei ragazzi non erano altro che dei pazzi fannulloni. Gente che perdeva tempo dietro a delle strane diavolerie, invece di pensare a lavorare e sostenere le proprie famiglie. Al giovane Oronzo quell’ambiente gli andava ormai stretto, lo imprigionava. Quel mondo e ancor di più la sua gente, spesso ancorata a vecchie tradizioni, lo soffocava. Era stanco di svegliarsi tutte le mattine molto prima dell’alba e andare per mare rannicchiato tra le assi di una fatiscente imbarcazione.

Spesso poi succedeva che lo scirocco gli inumidisse i vestiti, rischiando un malanno. Era stanco di quella terra priva di sussulti ed emozioni, priva di opportunità e di un futuro migliore, dove anche i sogni erano un lusso. «Era arrivato il tempo di fuggire», mi dice quasi a denti stretti. Così decise di andare via per cercare fortuna. Era il 1967 e aveva appena compiuto 17 anni quando partì per Milano. La sua valigia di cartone ben stretta sotto il braccio carica di speranza e tenuta insieme dal doppio cordoncino delle sue stesse pertinace sfide.

Non era stato facile convincere suo padre a lasciarlo andare. Ma a rassicurarlo in quella terra lontana era pronto ad accoglierlo un cugino di famiglia partito anni prima. E da lui avrebbe trovato una prima sistemazione. Il giovane Oronzo non aveva mai visto prima di allora una città. Di colpo venne avvolto da un enorme movimento frenetico di persone che gli dava la sensazione fossero impazzite, come anche dalle gigantesche costruzioni, da sembrare di perdersi oltre le nuvole. E ancora una fitta nebbia fatta di miriade di goccioline d’acqua che gli bagnavano il viso e lo confondevano.

Oronzo Macchia e l’incontro con tanti personaggi dello spettacolo.

La sua prima istintiva reazione fu quella di risalire sul primo treno e ritornare da dove era partito. Resta alcuni attimi in silenzio e di getto mi confida, premendo una mano sul petto, che per fortuna e ben presto molto cambiò. Passato il primo periodo critico di quella Milano ammaliante e misteriosa, se ne innamorò perdutamente. E ancora oggi gli è rimasta ben incastonata nel cuore.

Trovò quasi subito lavoro in una impresa di pulizie, «anche se io volevo vivere di notte» mi sussurra quasi a bassa voce. Allora si inventa una seconda occupazione parallela alla prima. Diventa il direttore amministrativo di un circolo di intrattenimento ubicato nei sottofondi della città, dove si svolge la vera vita notturna di Milano. Così entra in contatto con diversi personaggi dello spettacolo e conosce bene i vari Al Bano, Tacconi ecc. Il giorno lavora e la notte scende nella pancia della metropoli. Lì il giovane Oronzo Macchia dà il meglio di sé e intuisce che quello sarà il suo mondo.

Il sogno del Festival di San Remo per Oronzo Macchia si rivela un’illusione.

Fondamentalmente resta un musicista e quindi un uomo libero e spesso capita che imbracando la sua chitarra nei pressi della metropolitana o nei parchi o ancora nei metrò, si trasforma per la gioia dei passanti in un vero e proprio artista di strada. Aveva la musica nel sangue, gli interessava solo suonare e avendo scritto ben duemila pezzi musicali decise a vent’anni compiuti che fosse giunto il tempo di osare e fare il tanto sospirato salto di qualità, giungere al successo magari solcando il palco della grande e prestigiosa kermesse canora di San Remo, il vero motivo per il quale aveva lasciato il suo paese.

Sceglie due testi ai quali crede profondamente e che è oltremodo affezionato: “Stringimi forte a te” e “Torna stasera”. Si reca poi in una traversa di viale Monza, residenza della casa discografica A studio. Dopo diversi appuntamenti, finalmente riesce a registrare sia il lato A che il lato B di un 45 giri che stamperà in diecimila copie interamente a proprie spese. Preso dall’entusiasmo, ci mise del tempo prima di capire che il sistema in cui aveva posto tutta la sua fiducia, non fosse altro che un modo ben collaudato di spillare più soldi possibili, a chi come lui avesse tentato di trasformare i propri sogni in realtà.

Così si ritrova con una gran quantità di dischi da smaltire che cerca di vendere porta a porta, lui a Milano e le sue sorelle a Porto Cesareo. Nonostante tutto, non si lascia abbattere e riprende in mano la chitarra proponendo le sue canzoni nei vari locali della città o tra la gente, mentre distrattamente passeggia. Oramai non gli interessa più il successo e tutto quello che quest’ultimo gli poteva offrire. Lui, Oronzo, vuole solo suonare, in fondo è quello che gli era sempre piaciuto fare.

Dopo 43 anni, lontano da casa, a un certo punto, sente forte la nostalgia di ritornare al mare. Ormai cinquantenne lascia tutto, infila le poche cose necessarie in valigia e sale sul treno che lo condurrà definitivamente nel Salento, a Porto Cesareo, dove incontrerà Giuseppina il grande amore della sua vita.

Ora, tutte le mattine lo troverete con la sua faccia gentile da ragazzino sulla sua barca a proporre ai tanti turisti stagionali le sue artistiche creazioni fatte da coloratissime conchiglie che sembrano uscire da una fiaba. Anche se in un certo senso ha appeso la chitarra al chiodo la sua anima resterà comunque e sempre quella di un artista. Un artista pescatore.

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