ARTE & SALENTO

Le reti della tonnara realizzate da donne cesarine: lo smart working di un tempo

a cura di Fernando Martina (posta dei lettori)

Negli anni ‘60 del secolo scorso, molte donne di Porto Cesareo, tra cui mia mamma Maria Orlando, erano impegnate nella realizzazione delle reti da pesca per la Tonnara del paese presso la propria abitazione. Una sorta di genesi dello “Smart Working”: vedere le donne vicino alle loro case impegnate a lavorare le reti era la normalità. Ricordo la mia mamma curva con il filo di cocco in mano intenta a fare le reti con maestria.

Il lavoro era impegnativo e cominciava con il ricevere dal “Capo Rais” della Tonnara una balla di matasse di filo di cocco pressate in modo che occupassero poco spazio durante il trasporto e lo stoccaggio nei magazzini. Alle lavoratrici il compito di rendere lavorabili le matasse. Noi ragazzi prendevamo le matasse pressate e le immergevamo nell’acqua di mare, il tempo necessario per ammorbidire le fibre. Il mio lembo di acqua dove posizionarle era di fronte alla mia casa in via Monti (dove ora c’è la banca MPS), al di là della strada dove adesso sostano le barche dei pescatori dilettanti.

Quando le matasse erano ammorbidite venivano appoggiate sullo schienale di una sedia che aveva la funzione di un arcolaio e con pazienza si svolgevano creando dei gomitoloni. La lavoratrice munita di gomitoloni cominciava a realizzare le maglie della rete utilizzando come misura una bacchetta di canna (chiamata pìcia) che le veniva consegnata insieme alle matasse di filo di cocco. Una volta finito un pezzo di rete veniva stesa al sole per farla asciugare. Il lavoro di realizzazione e di assemblaggio delle reti veniva realizzato dai pescatori della Tonnara (solitamente in inverno) utilizzando delle corde di cocco.

Come si agganciavano i fili e i ganci.

Le corde erano realizzate unendo una quantità di fili elementari secondo la necessità e la funzione che dovevano assolvere, dalle piccole corde a veri e propri cavi che servivano ad ancorare le reti sul fondo del mare. Per assemblare le corde veniva utilizzata una grande ruota dotata di ganci lungo tutta la circonferenza. I fili elementari venivano agganciati ai ganci e stesi lungo il limite della strada. Inizialmente la ruota era posizionata subito dopo l’angolo dell’attuale ristorante Grottino e i fili venivano stesi fino alla Pro Loco. Successivamente la ruota fu spostata nei pressi della Pro Loco per un percorso inverso.

Una volta agganciati i fili, in funzione dello spessore del cavo che necessitava, uno o più pescatori facevano muovere la ruota usando una manovella che tramite ruote dentate la faceva ruotare. In questo modo i fili si attorcigliavano creando il cavo di cocco. Come non ricordare le famose barche rosse della tonnara con parecchi pescatori a bordo (negli ultimi tempi della tonnara c’era anche mio fratello Pippi) che salpavano facendole muovere con i muscoli delle braccia e la festa che si faceva al loro ritorno quando la pesca era abbondante.

Nel mio ricordo da bambino, quando abitavo dove adesso c’è il bar da Mario, c’è la gioia di quando distribuivano i famosi “sciascianielli” (i gianchetti) e la mia mamma preparava una teglia (tiànu) di sciascianielli da portare al forno per la cottura. Sapori che purtroppo si son persi nel tempo e non ho più ritrovato.

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