Lecce da scoprire: dall’Obelisco alle imponenti porte d’ingresso
a cura di Dario Dell’Atti – “Lecce da scoprire” Pt1
Costruito nel 1822 su progetto dell’ingegnere Luigi Cipolla e dallo scultore salentino Vito Carluccio, l’Obelisco di Lecce è alto circa dieci metri. Ha la forma di una piramide a base quadrata che si va appuntendo verso l’alto. Alla base della colonna, scritte in lingua latina, troviamo le distanze tra Lecce e alcune città. E poi il riferimento alla visita di Ferdinando I di Borbone, accolto in festa dalla popolazione.
Salendo con lo sguardo, vediamo un piedistallo adornato nelle quattro facciate con alcune figure in bassorilievo. Tra queste lo stemma della terra d’Otranto: un delfino d’argento verticalmente disposto sui pali vermigli d’Aragona (il mammifero viene definito stizzoso, dallo storico napolitano Scipione Mazzella) che azzanna una mezzaluna ottomana. Questa figura simboleggiava la vittoria contro i turchi che minacciavano le coste del Salento con continue scorrerie.
Il corpo dell’Obelisco si suddivide in cinque parti, contraddistinte dai simboli di quelle che in passato erano i distretti della Terra D’Otranto. Si scorgono dunque la Lupa di Lecce, il Gallo gallipolino, il Cervo di Brindisi e lo scorpione, simbolo di Taranto, la città dei due mari. Ogni stemma venne disposto orientativamente con la direzione della città a cui faceva riferimento.
Scolpite in cima all’Obelisco, troviamo la costellazione del Leone (che domina la provincia della terra d’Otranto con le sue 27 stelle). Inoltre quella del Sagittario e dell’Ariete, segni di fuoco. Gli studiosi ritengono che tali rappresentazioni volessero simboleggiare il calore della nostra terra, ma soprattutto i frutti che essa regala (anche questi scolpiti sull’Obelisco) come grano, olive e l’uva raccolte nei periodi caldi dell’anno.
Lecce da scoprire: l’arco di trionfo, Porta Napoli
a cura di Dario Dell’Atti – “Lecce da scoprire” Pt2
Costruita dall’architetto militare del Regno di Napoli Gian Giacomo dell’Acaya (già costruttore delle mura cinquecentesche del Castello di Lecce, nonché della Rocca d’Acaya), Porta Napoli fu edificata nel 1548 in onore di Carlo V. La costruzione fu promossa dall’allora presidente della Terra d’Otranto, il napoletano Ferrante Loffredo. Egli in onore del re Asburgico, volle costruire un grande “arco di trionfo” proprio sulla strada che conduceva a Napoli.
In realtà prima di Porta Napoli la città aveva già un accesso al centro storico, porta Santo Egidio. Essa fu distrutta per lasciare spazio alla prima. L’architetto del Regno di Napoli volle costruire una sola fornice a tutto sesto, affiancando due colonne per lato dal fusto alto e snello, con scanalature sottili e ravvicinate tipiche dello stile corinzio. Quest’ultime sorreggono un frontone triangolare al centro del quale è presente lo stemma imperiale della casata degli Asburgo.
Nel frontone principale sono presenti anche raffigurazioni di cannoni e armature, che ricordano gli archi di trionfo romani, simbolo di potenza bellica dell’impero, fresco vincitore della battaglia contro le invasioni turche che da anni mettevano in ginocchio la Terra d’Otranto.
L’epigrafe dedicatoria dice: “All’Imperatore Cesare Carlo V, augusto trionfatore, nelle Indie, nelle Gallie ed in Africa; soggiogatore dei cristiani ribelli, spavento e sterminio dei Turchi; propagatore della religione cristiana in tutto il mondo con le opere e con i consigli; essendo al governo di questa provincia Ferrante Loffredo, che seppe tener lontani da i lidi del Salento e della Japigia i Turchi ed i nemici dell’impero; l’Università ed il popolo leccese riconoscente dedicò quest’arco alla grandezza e maestà di Lui, l’anno 1548.”
Lecce da scoprire: Porta San Biagio
a cura di Dario Dell’Atti – “Lecce da scoprire” Pt3
Commissionata nel 1774 da Tommaso Ruffo, governatore della Terra d’Otranto, Porta San Biagio fu costruita sui resti di un antico edificio (un’altra porta preesistente, con annessa torre di controllo). Coincise con un periodo di riqualificazione urbana voluta espressamente dalla politica imperiale borbonica. Secondo lo storico leveranese Girolamo Marciano, l’ingresso d’oriente alla città leccese fu intitolato a San Biagio per commemorare il punto di fuga da dove quest’ultimo, scappò alle persecuzioni dei romani. In precedenza nelle vicinanze sorgeva una chiesa in suo onore che ricordava la fuga da Lecce.
San Biagio, venerato sia dai cattolici che dagli ortodossi, in vita fu un medico e vescovo di Sebaste, allora in Armenia tra il III e il IV secolo. Fu proprio questa città che lo accolse dopo un lungo periodo di fuga. Qui nonostante l’editto romano garantisse la libertà del culto della religione cattolica, San Biagio divenuto vescovo venne scovato e torturato. Infine decapitato dopo il rifiuto di rinnegare il proprio credo.
La porta oggi è uno dei monumenti storici leccesi. Alta 17metri, presenta delle coppie di colonne a base liscia poggianti su alti basamenti che sostengono il fornice decorato, con lo stemma di Ferdinando IV di Borbone e quello della città di Lecce. Una statua del Santo martire in abiti vescovili completa l’ornamento artistico della porta.
Porta Rudiae a Lecce: come la si ammirava ad inizi ‘800
a cura di Mario Cazzato – “Lecce da scoprire” Pt4
Chissà cosa avrà pensato di Lecce lo scozzese Crauford Tait Ramage quando nella tarda primavera del 1828 la visitò nel corso del suo solitario viaggio “In South Italy”. È pur vero che aveva interesse, tra l’altro, di raccogliere “modern superstitions”, ma quello che aveva visto e sentito era troppo. Alcuni tizi chiedevano l’elemosina con appeso un cartello con l’enigmatica ABRACADABRA per proteggersi, dicevano, dalle malattie.
E aveva visto un gruppo di donne da marito che con grosse mazze di legno colpivano i piedi di una statua di San Giuseppe custodita nel monastero degli olivetani. Credevano che, così facendo, avrebbero incrementato con l’aiuto del Santo le possibilità di sposarsi. E che dire di quella monaca domenicana che dalla sua clausura aveva avuto l’ardire di chiedere al suo vescovo, il terribile Pappacoda, licenza di ballare la tarantella per due giorni – trattamento raccomandato dai medici – con tanto di musici.
E che pensare di quell’altra monaca, sempre domenicana, Giacinta Penna, sorella di un grande scultore, che da moltissimi anni risultava inferma e “tenuta per spiritata”… All’improvviso guarì dopo essersi raccomandata caldamente a Sant’Oronzo. Per parte nostra non ci meraviglieremo più di tanto quando di fronte a una delle quattro porte della città, quella di Rugge, Ramage scrive che “questa fu la cosa che maggiormente mi interessò a Lecce“. Infondo era quella dalla quale partiva la via che conduceva all’antica Rudiae che dette i natali al celebre poeta Ennio.
Credenza antichissima questa della via sotterranea, la Malenniana (da Malennio, mitico fondatore di Lecce). Partiva dalla piazza pubblica e sbucava proprio vicino alla nostra porta, per proseguire, sempre sottoterra e per alcune miglia, alla messapica Rudiae, patria – e quasi tutti sono concordi – del già citato Quinto Ennio, padre della letteratura latina. Ma quale versione della porta ammirava, in quel 1828, il viaggiatore scozzese?
Ammirava certamente quella ricostruita nel 1703 e nel 1656 benedetta e dedicata dalla città e dal Pappacoda al nuovo protettore cittadino, Sant’Oronzo. Porta sormontata dal medesimo protettore, benedicente e affiancato, in una posizione secondaria, dalle statue di San Domenico e di Sant’Irene, l’antica protettrice spodestata proprio quel 1656.
Sopra i capitelli delle quattro colonne sono raffigurati con tanto di epigrafi esplicative – così da non aver dubbi – i quattro eroi della preistoria leggendaria di Lecce: da sinistra Euippa, Malennio, Dauno e Idomedeo che avrebbe dato il nome a Lecce. Secondo la leggenda, Malennio era figlio di Dasumno, figlio di Sale, a sua volta figlio del re di Creta. Suoi figli erano Dauno ed Euippa e quest’ultima sposò il cretese Idomedeo.
Allo scozzese difettavano gli strumenti per accorgersi che questa favolosa genealogia poggiava unicamente su sporadiche affermazioni di geografi antichi. E soprattutto era stata “aggiustata” e ampliata dagli umanisti locali, in primis il Galateo e soprattutto il Ferrari della cinquecentesca “Apologia Paradossica”. Ed è da quest’ultima zoppicante fonte che l’ignoto estensore del programma iconografico di questa facciata trae la successione cronologica della città, che a suo parere, “aveva […] per suo padre ed edificatore re Malennio“.
Si arrivò addirittura ad identificare la reggia di Idomeneo, nel punto in cui nel XV secolo fu innalzato un monastero di domenicane. Fantasia pura scatenata da un’epigrafe latina rinvenuta in quel luogo. Leggende che dovettero comunque, affascinare il nostro viaggiatore. Forse aveva letto qualche edizione del romanzo francese di Fènelon, ossia “Le avventures de Telemaquè”, in parte ambientato, con Idomedeo ed altri eroi, proprio dalle nostre parti.
La leggenda di Giovanni D’Aymo e il tesoro nascosto.
Ma una circostanza al cospetto di questa mirabile porta “parlante” il Crauford non poteva sapere. Non sapeva infatti che nei pressi sbucava la via Malenniana – appunto da re Malennio – che dalla piazza, sotterranea, portava dopo qualche miglio a Rudiae (Rusce o Rugge) “fatta per artificio umano per la quale in tempo di guerra l’una città all’altra scambievolmente” si aiutavano. Soprattutto non conosceva la leggenda di Giovanni D’Aymo che, scrive il Ferrari, travisando i fatti, verso il 1385 seppe di “un gran tesoro nascosto” nella piccola cappella suburbana di Sant’Oronzo.
Il santo aveva rivelato tale nascondiglio a un forestiero che si fece aiutare nell’impresa del ritrovamento dal “portiero” di Porta Rudiae, che era proprio il D’Aymo. E mentre si scavava, il figlio del D’Aymo, per impossessarsi del tesoro, con una pietra uccise il forestiero. Ma Giovanni “compunto dallo spirito di coscienza“, per riparare a tale sacrilegio, destinò tutto quel tesoro all’edificazione, proprio dietro la nostra porta, di un convento di domenicani sotto il titolo di San Giovanni Battista e accanto, e poi di fronte, di un ospedale dedicato allo Spirito Santo.
La realtà è diversa, ma la sostanza non cambia. Giovanni D’Aymo era un ricchissimo commerciante leccese, forse un ebreo convertito. Nel suo testamento del 1394 egli dispose che gran parte della sua eredità fosse destinata all’edificazione di convento ed ospedale. Come effettivamente avvenne. Un benefattore tanto prodigo che qualcuno lo ha addirittura appellato, fino a poco tempo fa, “san” Giovanni D’Aymo.
E ancora oggi, oltrepassando Porta Rudiae, subito alla nostra destra troviamo il complesso – chiesa e convento – dei domenicani. Alla nostra sinistra la lunga mole cinquecentesca dell’ex ospedale dello Spirito Santo, ora sede della locale Soprintendenza.
“Lecce da scoprire” – Fonte: “Lecce svelata – Barocco, segreti e misteri” Edizione 2023