ARTE & SALENTO

La Jacca, arte marinara praticata da Taranto al Porto di Cesaria

a cura di Salvatore Muci – Foto di Valentina Martina, Sagra del Pesce a Porto Cesareo

La pesca era nel secondo ‘800 uno dei mestieri più interessanti praticati lungo la costa jonico – salentina, da Taranto al porto di Cesaria. Esercitato maggiormente su quel tratto di litorale, da gente tarantina che dava produttività ed immenso utile alla zona e alla stessa classe marinaresca. Tra i tipi di pesca che si annoverano lungo la suddetta riviera, da Taranto alla costa neretina, nel periodo sopraindicato c’era la pesca del fornuolo.

Lo storico locale tarantino, D. L. V. De Vincentis l’elenca in un suo manoscritto edito nell’anno 1878. La nominata tipologia di pesca, è volgarmente detta jacca da iaculo (lanciare), perché si fa di notte con la fiammella. Si prendono tra le specie ittiche, i dentici, le seppie ed altre specie. Si pratica in autunno ed è una pesca più di diletto che di lucro, commentava lo studioso tarantino nel suo libro. Analoga descrizione del litorale da Taranto a Gallipoli si trova molto ben relazionata in Nicola Maria Cataldi, autore storico gallipolino.

Famiglie di marinari tarantini presenti nel luogo del porto di Cesaria, forse già nell’anno 1893 ed anche prima, erano i Presicce, i Leggeri ed altre ancora provenienti dalla città dei due mari. Cosimo Presicce e il figlio Giovanni Cataldo, praticavano già il mestiere della jacca nel Mar Piccolo e continuarono quando giunsero nella borgata neretina, nel porto grande e piccolo di Cesaria. Altri componenti delle suddette famiglie ed altre eccelsero nell’arte marinara di catturare con la fioscina (fiocina) tanti altri tipi di pesce, quali lutrini, sarpe o bocche d’oro, saraghi, occhiate. E quando capitava il classico polipo o altri simili, come la porpascina.

Il rientro a casa dei pescatori dopo una notte di lavoro.

I pescatori che praticavano nel mare della spiaggia di Cesaria, la jacca, lavoravano soprattutto sotto costa, sia lungo il litorale di Levante, sino alla suddetta Strea, per continuare al Capperone e alla punta dei Ferretti per la località di Sant’Angelo. A Ponente invece oltre le rive dopo Torre Chianca. Nella pratica primordiale del mestiere per scrutare meglio ed avere un’illuminazione della profondità sottomarina del mare, si usava una lunga fiaccola o torcia, un bastone spesso incastrato in un buco della murata, imbevuto di pece nera, (allora era la tetara), che rimaneva accesa per tutta la sera, notte e continuava fino all’alba. I pescatori per le 08:00 circa tornavano nella propria dimora.

Oggi i pescatori che praticavano il suddetto mestiere, usano una lampada di luce forte, la lampara, che legano con delle corde al lato alto (la murata), della barca (ti lu skiu). Gli idronimi, punti o luoghi di mare, per i pescatori erano a Levante, sino a lu puertu tilli tintati, dove si pescavano i dentici di qualsiasi dimensione. Altro idronimo o luogo dove i marinai giungevano per la jacca era a Ponente per il Mojuso, presso Cavuertu e all’isola di Kianca t’Abramo.

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