SPAZIO STORIA

Torri costiere nel Salento: un prezioso sistema difensivo dagli assalti Ottomani e dai corsari

a cura di Salvatore Muci – Nell’immagine tratta da: Fotografando Lecce e il Salento, anno 1928, Torre Cesarea

Alla metà del ‘500 su ordini emanati dai re spagnoli, su tutta la costa del Regno di Napoli, sorsero molte fortificazioni militari, distanti l’una dall’altra oltre tre chilometri e mezzo, le cosiddette torri costiere nel Salento. Dette costruzioni sono state erette per consentire all’esercito iberico di difendersi dagli attacchi Ottomani, dalla parte adriatica e jonica che va da Torre Ovo a Santa Maria di Leuca.

Tra gli anni 1568 – 1570, erano quasi tutte ultimate. Tra loro la nostra Torre Cesarea, come le vicine Chianca, Lapillo, Castiglione, Colimena ed altre a Ponente. A Levante invece di Squillace, Sant’Isidoro, Inserraglio ed altre. L’avvistamento del nemico turco era il loro vero compito. Ad ogni torre venivano assegnati un certo numero di militi, capeggiati da uno di grado superiore. Per le torri più grandi che ospitavano un numero più folto di soldati c’era il castellano che comandava il maniero, come sulla nostra di Santa Cesarea. Sulle altre tre del nostro territorio c’era un minor numero di soldati.

Su ogni torre, oltre ai militi che svolgevano il servizio di guardia, (quattro e anche di più in base alla grandezza), c’erano gli artiglieri: erano coloro che adoperavano le armi del tempo, come schioppetti lunghi o corti, oltre a cannoni di media e superiore grandezza. Si recavano fino al castello di Lecce per l’approvvigionamento di munizioni e polvere da sparo e di vari altri armamenti per il servizio sulle torri.

Bombardieri, cavallari e barcaroli a dare il loro contributo.

C’era il bombardiero, colui che aveva il compito di occuparsi dell’artiglieria pesante, custodiva e immetteva le palle nei cannoni e ne accendeva il fuoco per lo sparo. Dava anche una mano nello sfruttare le caditoie, per scaraventare sul nemico pece ed olio bollente. I custodi militari svolgevano il servizio anche fuori dalla torre. I cavallari (soldati a cavallo), di giorno e di notte facevano la spola tra le torri ed avevano il loro ricovero presso il posto (li puesti in gergo dialettale), che era in demanio alla torre e distante alcune miglia.

Il servizio di guardia dei cavalieri includeva anche quello di giungere alla sede dell’Università, che aveva contribuito alla costruzione della torre e al suo mantenimento. I loro cavalli avevano il loro ricovero presso la stalla del posto e della torre. Il pedone, svolgeva le stesse mansioni a piedi lungo il litorale, rispettando i turni di guardia con le altre sentinelle. Stesso discorso per i cavallari. Infine i barcaroli, che sorvegliavano con delle lunghe barche il mare nei pressi ed intorno alla torre.

Le Torri Costiere nel Salento: la loro evoluzione durante il periodo borbonico

a cura di Salvatore Muci

Nello studio sulle torri costiere, nei documenti, si rinvengono continuamente notizie sugli assalti ottomani alle coste salentine. Sino al primo ‘700 dunque, il pericolo giungeva sempre dal mare, da Oriente. Quando a Napoli si passò dagli spagnoli ai reali borbonici, avvenuto qualche decennio prima di metà ‘700, il pericolo turco veniva meno. Erano i pirati e i corsari della zona che scorrazzavano su entrambe le coste salentine, per svolgere attività di contrabbando, ad essere il vero pericolo che dal mare giungeva al primo governo borbonico.

Erano molte le azioni illegali gestite da gente corsara, che si spostava su tutte le coste mediterranee, a tenere in allerta le sentinelle delle torri costiere. Praticamente a metà ‘700 le suddette fortezze erano vere zone di frontiera e i militi che svolgevano servizio di sorveglianza, avevano compiti da guardia doganale. Continuamente le guardie delle torri costiere erano attente ai vari sbarchi.

Le cisterne usate come prigione per chi veniva catturato.

Nella documentazione archivistica è noto il rinvenimento in alcuni atti, ove si riscontra la presenza di pirati di provenienza tripolina, pronti agli sbarchi sulle coste del Salento, come sulla costa neretina, dalla Torre dell’Alto fino alle Scinnute, a quella di Torre Cesarea. In tali scritti si riportano i loro sbarchi e cattura. Una volta presi venivano rinchiusi nelle cisterne delle torri. Uno per volta passavano a visita per sospetto morbo contagioso dal medico mandato lì, dal duca di Nardò. Nessuno poteva avvicinarli, perché rischiava anch’esso l’isolamento e la reclusione.

Sempre prima della metà del ‘700, si ha notizia della loro presenza nelle prigioni o cisterne delle torri costiere del Salento. Oltre alle due già nominate, anche a Santa Maria al Bagno, Santa Caterina, Santa Maria dell’Alto, Sant’Isidoro e infine in quella di Squillace o di San Giorgio. La suddetta documentazione si trova negli atti notarili di Emanuele Bonvino da Nardò che vanno dal 1700/30. Comunque come si evince dalla consistente documentazione trovata, si nota che il torriere del ‘500 – ‘600, nel ‘700 diviene una guardia doganale.

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