Le pittule: sapori dal Salento aspettando il Natale
a cura di Massimo Peluso
Le pettole o “pittule” sono da annoverare tra le tipicità salentine del periodo natalizio, specie nei giorni di vigilia delle solennità di dicembre, come l’ Immacolata ed il Natale, oramai alle porte. Come non avere impresso nei nostri occhi e nei ricordi d’infanzia, le nonnine indaffarate ad impastare quella pastella, dai tratti “nervosi” ed allo stesso tempo così semplice, a base di acqua e farina. E poi tutta la famiglia, dai grandi ai piccini, attendere che friggano per poterle assaporare incandescenti e croccanti mentre, l’aria si tingeva d’ olio fritto, così come tutto il vestiario!
Tempi ed atmosfere, per fortuna ancora non persi e che probabilmente hanno avuto origine per errore. In che senso? Si narra infatti, tra le varie ipotesi, che le pettole potrebbero essere un’ invenzione involontaria di una casalinga tarantina. Come ben sappiamo, prima dell’avvento dell’era moderna, era usuale preparare il pane in casa. Pezzi spesso ben oltre il chilogrammo, che dovevano sfamare famiglie numerose e povere.
Proprio durante la preparazione del pane settimanale la notte di Santa Cecilia, la massaia tarantina venne distratta dal passaggio di alcuni musicisti per le vie della città, ovvero dei pastori abruzzesi zampognari, sbagliando i tempi della lievitazione del pane. Per non buttarlo, vista la carenza di cibo in quei tempi, cercò di rimediare all’errore immergendo nell’olio fumante un po’ per volta l’impasto. Il risultato fu così apprezzato che le “pallottole fritte” si diffusero dapprima per tutto il quartiere e poi nel Salento.
Le pittule, una preparazione semplice, ma gustosa.
Da qui, l’origine del nome attuale, un derivato della classica pitta salentina. Addirittura, un’altra versione della storia o forse pura leggenda, racconta che la donna fosse stata distratta dal passaggio di San Francesco d’Assisi. Egli ammaliò la donna con le sue parole di fede, facendole dimenticare il pane lasciato a lievitare. Meno probabile, ma non da scartare, la possibilità che le pettole possano avere origini albanesi, ricordando dei fritti simili chiamati petullat.
Oggi, li pittule non sono solo una questione casalinga ma, hanno così incontrato i gusti di tutti. Le troviamo facilmente nelle panetterie, trattorie, sagre ed eventi gastronomici in giro per la Puglia nelle versioni più svariate, da quelle semplici a quelle ripiene con olive nere, baccalà, pomodoro, cime di rapa e chi più ne ha, più ne aggiunga! Ma come preparare le classiche pittule?
Beh, dovessimo seguire la tradizione, dovrebbero essere fritte sotto il fuoco del caminetto anche se, le attuali friggitrici elettriche garantiscono la croccantezza del prodotto con una minore assorbenza d’olio. Ma, la ricetta rimane quella della massaia tarantina: farina, acqua tiepida, lievito, pizzico di sale ed impastare sino ad ottenere un impasto compatto e morbido. Far lievitare qualche ora e successivamente, con l’aiuto di un cucchiaio, immergere le pallottole in olio bollente. Qualche minuto e le pittule son pronte, chiudendo magari il cerchio con un buon bicchiere di vino novello.