ARTE & SALENTO

La pesca del pesce spada ispirata al Cuonzo catanese

La Redazione – Foto di copertina per la barca Diana durante la Processione di Santa Cesarea

L’estate del 1970 è caratterizzata dalla presenza di un nuovo sistema di pesca. Due nostre barche, la Santa Barbara e la San Francesco, apprendono dalle barche siciliane che vengono a pescare nei nostri mari, una nuova tecnica per la pesca del pesce spada: il Cuonzo catanese (cuenzu). Nel mese di luglio e agosto, così armate, le due barche vanno anch’esse alla pesca del pesce spada.

Il cuenzu per il pesce spada ha queste caratteristiche: una trave fatta da monofilo di nylon n. 140 a cui, alla distanza di 24 braccia (circa 40 metri) uno dall’altro si legava un bracciolo lungo 3 braccia (circa 5 metri) costituito da un doppio filo n. 140 con amo n. 0. Sul filo del cuenzu veniva legata una lattina di plastica con un volume che variava da 1 a 5 litri.

Il cuenzu trasportato dalla corrente aveva un pescaggio che andava dalla superficie del mare fino a una profondità di 50 metri. Funzionava a scala: un amo che scendeva e l’altro che saliva. Il cuenzu, quando veniva posto in mare, aveva al suo inizio una bandiera nera posta su una canna alta circa 3 metri, la quale era innestata su un contrapposto di ferro, il tutto legato ad un pallone galleggiante. Gli ami venivano innescati con sgombri o sarde, del peso variante da 10 a 400 grammi.

Fioccano nuove barche dalle dimensioni nettamente superiori.

Ogni due ami veniva posta una lattina di plastica, legata con una cordina di nylon. E ogni due o tre chilometri una bandiera con sopra una luce. Il cuenzu si calava in mare prima del calar del sole andando a velocità della barca (7 – 8 nodi). Il suo recupero iniziava dopo la mezzanotte e andava avanti fino al mattino. L’uscita in mare avveniva tra le 15 e le 16, mentre il rientro avveniva tra le 7 e le 10 del mattino seguente.

Ogni imbarcazione, per un’ideale distribuzione del lavoro, richiedeva un equipaggio di 4 persone, ed eccezionalmente anche di 3. Vista la convenienza e la buona riuscita di tale pesca, ben presto essa diventa una delle attività fondamentali della pesca a Porto Cesareo. La zona di pesca era compresa tra Otranto e Taranto, ed era situata tra le 20 e le 50 miglia dalla costa ad una profondità oscillante tra i 200 e i 1000 metri.

Tale nuovo sistema di pesca, unito al progresso della tecnica, spinge i pescatori a costruire barche sempre più grandi che vanno dagli 11 ai 14 metri con motori di potenza compresa tra i 50 e i 100 HV. Di queste nuove barche ci piace ricordarne il nome con l’anno di entrata in servizio: Vanvitello, Raffaella, Diana, Roma, Santa Cesarea, Giuseppe Verdi, Santa Lucia, Eleanna, Padre Umile e San Cosimo nel ’71; Garibaldi, Eufrasima ed Amerigo Vespucci nel ’74; Sant’Arcangelo ’75, Sparviero ’77; San Marco, Folgore ed Albatros nel ’78.

Tratto dal libro “La salsedine ha solcato il mio cuore” di Antonio Durante.

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