Isola della Malva, Porto Cesareo 1932
Il piccolo Gino è attento, scruta il fondale marino. E proprio in quel momento…
La Redazione
Gino ha 7 anni, e profuma di mare. E’ nato in queste acque cristalline e, nonostante la corporatura esile, le guanciotte rosee mostrano tutta la salute e il vigore dell’aria di mare. Si alza che albeggia, fa velocemente colazione, si dirige verso il porticciolo dove è ancorato “lu schiu” (piccola barca generalmente a remi) della sua famiglia di pescatori; una barca di tre metri e mezzo, priva di motore, che viene caricata come uno schiavo, appunto.
È una giornata di ottobre, il sole riflette i suoi raggi tiepidi sulle onde mosse da una leggera brezza. L’imbarcazione, con a bordo Gino, suo padre Raffaele e suo zio Chicco, si dirige verso l’isola della Malva, un lembo di terra incontaminata e poco battuta dalla pesca, dove è facile fare un buon carico di ricci.
Mastro Raffaele porge al figlio lo specchio, quel secchio con il fondo di vetro che i pescatori usano da sempre per scrutare le profondità marine. Gino vuole sentirsi utile, sapendo quanto sia importante una buona pesca per ricavare il guadagno necessario alla sussistenza di tutta la famiglia; non si lascia sfuggire nulla, con gli occhi sbarrati e il cuore che batte all’impazzata, in attesa di avvistare un ricco e prelibato bottino.
Isola della Malva: Gino comprende l’importanza della statuetta.
Vicino a lui zio Chicco è pronto a tirare su i ricci con la “vrancioddra”, una lunga asta con la punta a uncino. A metà mattinata, però, la battuta di pesca sembra arrestarsi. Il silenzio cade su tutti, delusi dalla scarsa resa.
Il piccolo Gino si sforza di scrutare meglio che può ogni angolo di mare, ha le braccia tese sul secchio, dolenti per lo sforzo. Lu schiu sta rientrando al porto, quando gli occhi tenaci e arrossati intravedono qualcosa di nero sul fondo.
«Tata ce bbete sta cosa? Varda, varda!».
Il padre avvicina la testa al secchio ed esclama: «Ma ce caspita ete? Chicco, Chicco, sbricate pjia la vrancioddra!».
È qualcosa di duro, un masso dalle strane sembianze. «Pare nu pupazzu scuru!» – esordisce mastro Raffaele, dopo averlo tirato su. Eccola di nuovo qui, pescata sul fondo del mare salentino, la statuetta che mi raffigura: il babbuino cinocefalo.
Ma, agli occhi di quei semplici pescatori, null’altro che un pupazzo, anche un po’ inquietante, tanto che zio Chicco vorrebbe rigettarlo in mare.
«Matonna santa, quantu ete brutta! Menala ti do la pijata!».
Gino è paralizzato dall’emozione. Non capisce cosa sia quell’oggetto, ma in cuor suo intuisce di avere tra le mani qualcosa di straordinaria potenza. Lo afferra, proteggendolo con tutto sé stesso; non avrebbe permesso a nessuno di sottrargli quella statuetta e l’avrebbe custodita come un tesoro.
N. d. R.
Le informazioni pubblicate sono state curate dalla docente Emanuela Elba, nell’ambito del racconto “Lu Pupazzu scuru”. Hanno contribuito i ragazzi della classe I AL del Liceo scientifico “Luigi Dell’Erba –Castellana Grotte, composto da: Carmen Ancona, Giorgia Loliva, Gianluca Monaco, Chiara Orsini, Federico Sgobba, Tommaso Spinosa e Federico Van Dijk.