Il rito della “Tenta”: chi lo ricorda?
a cura di Dario Dell’Atti
L’antica tecnica marinara di cui parleremo oggi è quella della cottura delle reti nella “tenta”. Pentolone di rame con capacità di 50 litri, diametro interno di 500 mm e altezza 400 mm. La tenta era necessaria per cuocere le reti. Proprio così, le reti dei pescatori prima di essere utilizzate per la pesca, dovevano essere imbevute e cotte con lo “Zappino”, un estratto rossiccio della corteccia dei pini. La procedura era necessaria per proteggere le maglie di cotone dall’usura del mare. Le reti cotte prendevano il classico colore dello Zappino, ovvero il rosso.
Dopo, venivano fatte scolare e messe ad asciugare per strada. Successivamente poste in depositi, riposavano il tempo necessario prima del quotidiano utilizzo. Sono immagini e momenti che ora sembrano sempre più lontani: i figli i e i padri si ritrovavano vicino i cosiddetti “locali della tenta”, nel piccolo giardino a disposizione e in alcune occasioni sull’uscio di casa. L’odore che ne scaturiva era particolare e inconfondibile. La nostra redazione da sempre attenta a spulciare nelle piccole – grandi tradizioni del passato, ha voluto ricordare questo particolare rito, patrimonio culturale cesarino da custodire gelosamente; è stato possibile farlo, grazie alla preziosa testimonianza di Angelo Greco, noto pescatore del posto. Il suo prezioso racconto è il modo più efficace per ricordare, anche perché come diceva Aldous Huxley, scrittore britannico del ‘900:” La memoria di ogni uomo è la sua letteratura privata.”