Come eravamo… “Lo Scoglio”.
a cura di Cosimo Baldi e Oronzo Greco
Nel pomeriggio tentiamo di andare sulla seconda e terza isola (isola della Testa), i cui fondali sono ricchi di “cuecciuli”, comuni frutti di mare. Per arrivarci, però, siamo obbligati a passare da “Lo Scoglio”, isola privata collegata alla terraferma da un piccolo ponte in legno e sorvegliata, giorno e notte, da un vecchio guardiano (lu Agostinu) il quale si avvale della collaborazione di un terribile cane lupo nero per impedire agli estranei di utilizzare Lo Scoglio come isola di transito.
Anche alle due di pomeriggio, quando la pennichella del vecchio è più profonda, il tentativo quasi sempre fallisce. I ricordi diventano sempre più nitidi e mi rivedo nelle albe primaverili, quando si verifica il classico fenomeno della biancata, con l’aria immobile, il mare piatto e privo di increspature, gli scogli che emergono dal mare: sono le classiche giornate di secca, bassa marea, ideali per catturare, prima di andare alla scuola elementare, con un filo di giunco, con all’estremità un’esca di pesce come “li corse”, dei granchi pregiati.
Le lego in serie con uno spago formando una “nserta” che porto a scuola per donarla al professore il quale mi nomina, ovviamente, capoclasse; oppure vado verso “lu casottu” (zona Rendez-vous) per scavare nel fango pietroso a mani nude o con un cucchiaio metallico per far emergere “li ramache” (vongole), anche queste graditissime al professore, che naturalmente continua a nominarmi capoclasse. In autunno, in inverno e in primavera uscendo da scuola torno a casa, mangio velocemente e ancora più velocemente faccio i compiti. Esco da casa, con l’obbligo di rientrare prima che faccia buio, e vado a giocare in mezzo alla strada con gli amici. Gioco a “furmeddhre” (bottoni), il cui valore è determinato dalla dimensione e quasi sempre “scuttu” (perdo tutto). Non sono rare le volte. (leggi la prima parte)