Carnevale di Gallipoli nella tradizione: da “Lu Titoru” alle urla delle “chiangimorti”
a cura di Massimiliano Dei Sommi
Il carnevale di Gallipoli è tra i più antichi e famosi dei carnevali di Puglia. La prima sfilata di gruppi mascherati su Corso Roma risale infatti al 1941. Prima i festeggiamenti carnascialeschi si svolgevano nella città vecchia, tra sfilate, feste e spettacoli presso il Teatro Garibaldi, già “Teatro del Giglio”. Ma si ritiene che i primi riti legati a questo evento risalgono addirittura al medioevo! Migliaia di maschere di ogni ceto sociale, dai più ricchi ai più poveri, partecipavano per rompere i ritmi della solita routine e dedicarsi per un breve periodo al divertimento.
Il Carnevale Gallipolino inizia ogni anno il 17 Gennaio, data in cui si celebra la festa di Sant’Antonio Abate accendendo in suo onore un gigantesco falò, La Focareddha, composto da fascine di rami di ulivo, momento in cui sacro e profano si intrecciano con armonia. La manifestazione prosegue a febbraio con le consuete sfilate di maschere e carri allegorici realizzati in cartapesta che regalano a cittadini e turisti indimenticabili momenti di spensieratezza in un vortice di musica coriandoli e colori.
Quella della cartapesta è una secolare tradizione gallipolina. Quest’arte si tramanda di generazione in generazione, e i materiali usati sono estremamente semplici, ossia fogli di giornale, acqua e farina. Questi, passando dalle mani dei maestri cartapestai, si trasformano in vere e proprie opere, dalla bellezza incomparabile e straordinaria. La combinazione di semplice impasto, materiali di recupero, creatività e genialità dà vita a una sfilata in cui gnomi e fate si incontrano con sirenette e pesci, o anche con personaggi famosi di cronaca e politica.
Il Carnevale di Gallipoli: l’incredibile storia de “Lu Titoru”.
La maschera più famosa che rappresenta il carnevale Gallipolino è senza dubbio quella de Lu Titoru, ossia Teodoro un soldato protagonista di tutta la tradizione carnevalesca Salentina. La leggenda narra che Teodoro fosse un giovane soldato pugliese, rientrato in licenza nella sua adorata Gallipoli, proprio per festeggiare il carnevale.
Desideroso di apprezzare nuovamente le delizie gastronomiche della sua terra prima del lungo digiuno della Quaresima, chiese alla mamma Caremma di preparare il suo piatto preferito, ossia un gustoso piatto di polpette di carne fritte. La madre assecondò il desiderio del ragazzo preparandogli un enorme porzione di polpette. Teodoro, preso dalla foga di abbuffarsi morì strangolato da una polpetta, lasciando la famiglia nella più cupa disperazione.
Da allora lo sfortunato Teodoro rappresenta la maschera principale del carnevale di Gallipoli: infatti il suo carro funebre sfila ogni anno in mezzo alle altre maschere allegoriche, ricordando a tutti il suo triste destino. Lu Titoru è rappresentato con una polpetta in bocca disteso su un letto funebre ed è accompagnato da alcune figure che hanno rivestito un ruolo chiave nella sua tragica storia.
Il particolare ruolo delle chiangimorti.
La maschera della Caremma, cioè sua mamma in lutto, che simboleggia il digiuno Quaresimale, le chiangimorti, che interpretano le comari del quartiere disperate per l’assurda morte del giovane soldato, il sindaco e la sua consorte, il prete con il chierichetto e uno stuolo di suore. Le chiangimorti e le suore sono impersonate generalmente da uomini travestiti da donna.
Le urla e i lamenti delle chiangimorti erano alternati a questo antico canto che narra proprio la triste vicenda di Teodoro:
Ci te lu curciu verde
la mamma chiange ca lu fiju perde
lu fiju perde…
e lu fiju ca nd’è natu
è partutu allu surdatu
nà, nà e nà nì nena…
Altri importanti personaggi del carnevale gallipolino sono Re Candallinu e sua maestà Mendula Riccia, i regnanti del carnevale investiti nell’onore di dare il via ai festeggiamenti prendendo simbolicamente possesso della città con la lettura del “regal editto”. Tra i vari gruppi mascherati, giovani e meno giovani, ve n’è stato uno per decina di anni che ha aperto le sfilate, la “Albino Band”, un allegro gruppo mascherato e musicato, capeggiato da Albino Dei Sommi che con il ritmo della sua grancassa faceva rallegrare proprio tutti.
Il Carnevale di Gallipoli quest’anno giunge all’82ª edizione.
I festeggiamenti carnascialeschi si concludono il Martedì grasso, a mezzanotte, con il suono del campanone della Chiesa di San Francesco d’Assisi nel centro storico. Anticamente tutti accorrevano in maschera presso questa Chiesa e al suono del campanone tiravano giù le maschere e facevano un segno di croce.
Si usava recitare anche questo detto: “Carniale chinu te ‘mbroje, osci carne e crai foje!”. Questo voleva simboleggiare il ritornare alla vita quotidiana e al prepararsi al cammino di penitenza quaresimale, prima caratterizzato dall’astinenza dalle carni per tutti i quaranta giorni prima della Pasqua.
Qui di seguito propongo una poesia sul Carnevale Gallipolino di Leo Barletta.
QUANDU ‘RRIVA CARNIALE
di Leo Barletta
‘Nzigna l’annu cu Sciannaru,
e se ‘nd’esse lu Natale,
ma Caddhipuli nu stae ferma:
staci ‘rriva Carniale!
Pe la Pasca ‘ncora é ‘mprima,
‘ncete tiempu te spattare,
a via Ribera ‘ncé Sant’Antoni
e la focareddha te ‘ddumare.
Su sciurnate te baldoria,
te cran festa e allecria,
te culuri e de curianduli
cusì se pitta ogni via.
La dumenaca te li carri,
su lu corsu la sfilata
cu li gruppi mascherati
cu la banda te parata. Nu piccinnu vastutu maschera,
stae cuntentu, stae prasciatu,
nu vecchiareddhu se ‘mbicina
nu candallinu nd’ha recalatu.
Poi ‘ncé martatia crassu,
na sciurnata tutta t’oru,
ma spiccia cu na tragedia:
osci è mortu lu Titoru!
Sia ca ete giurnu te luttu,
ma ete festa, e nu dire none,
ca ci senti te luntanu
staci sona u Campanone!
Ole dice ca é spicciatu
stu periudu senza male:
è cusine stu paese
quandu ‘rriva Carniale! Leo Barletta