TERRA NOSCIA

La Cazzateddhra di Nardò, la maestria e la bontà del pane intrecciato neretino

di Massimo Peluso

Il pane è da millenni un alimento fondamentale per il sostentamento dell’uomo. Nel corso del tempo ha assunto vari significati sia religiosi, sia culturali, che andremo a rispolverare in questo articolo, sino ad arrivare ad uno dei prodotti simbolo della tradizione neretina: la cazzateddhra. Numerosi scrittori e poeti hanno ricevuto ispirazione nel citare il pane: “Quelli che hanno solo del pane secco e tuttavia fanno festa”, scriveva Platone nella sua celeberrima Repubblica…

E chi più del pane, in effetti, porta serenità e ricchezza sulla tavola imbandita? Per non parlare dei numerosi modi di dire come “dividere il pane”, “guadagnarsi il pane” o “dare pane per focaccia”, oramai entrati nel lessico quotidiano, quasi fossero delle vere e proprie istituzioni della lingua italiana. Persino nell’Eneide, Virgilio nomina il pane, come anche Petrarca e Shakespeare. Certamente, nella tradizione cristiana, il pane ha una posizione privilegiata, simboleggiando il corpo di Cristo. Infatti, come il chicco di grano seminato darà origine ad una nuova pianta, che a sua volta produrrà chicchi, così è ritornato a vita nuova il Cristo. Per tale motivo il pane è simbolo di rinascita, ma anche di fatica e sudore. Quindi, va rispettato e la tradizione vuole pure “baciato” prima di essere buttato, se mai ce ne fosse la necessità.

La storia del pane ha almeno diecimila anni. Probabilmente il primo prototipo è stato prodotto in Medio Oriente nella Giordania, utilizzando semplicemente acqua e cereali macinati. Solo grazie agli Egizi però, c’è il salto di qualità e la tecnica di produzione viene migliorata e perfezionata. Scoprono che, lasciandolo lievitare un giorno, si ottiene un prodotto soffice, saporito e facile da masticare. Così, diverrà tanto importante da inventare i primi forni, mentre inizialmente era cotto su pietra rovente. Inoltre utilizzato anche come mezzo di pagamento per coloro che lavorano alla costruzione delle piramidi.

Come preparare la cazzateddhra attraverso il movimento delle mani.

Molte delle varietà di pane conosciute oggi, sono il risultato dell’apporto degli antichi Greci e dei Romani, i quali idearono il mulino a vento per sostituire la faticosa macina in pietra. Ritornando al nostro territorio, anche il Salento però, dà il suo contributo all’infinita storia della panificazione, mettendo in campo la cazzateddhra neretina. Un tipo di pane cui va orgogliosa la città di Nardò. Una ricetta antica di oltre un secolo dove, l’esperienza dei nostri panettieri, si fonde con i prodotti del Salento e le conoscenze culinarie delle massaie.

La ricetta originale prevede:

1 kg di farina bianca mista a semola rigorosamente leccesi

0,5 kg di lievito madre

30 g di sale

15 g di pepe

50% circa d’acqua

1/2 bicchiere d’olio.

Proprio qui sta una delle particolarità della cazzateddhra. L’olio deve essere caldo in modo da dare maggior sapore e profumo ed ottenuto dalla primissima spremitura in frantoio e per tale motivo è detta anche cazzateddhra cu l’uegliu frittu (con olio fritto).

Esistono delle varianti con semini diversi, come quelli di sesamo. Può essere consumata sia da sola oppure con una bella fetta di mortadella, assai apprezzata dai contadini dell’epoca. Certamente, alla vista di questo pane neretino fa effetto la forma, stile mozzarella intrecciata (cazzateddhra piccola), frutto del movimento abile delle mani dei panettieri. Ma, ricordiamo anche la cazzateddhra lunga, dove l’intreccio parte da tre fili di pasta, i quali vengono posizionati come fossero delle trecce di capelli.

Davvero una bellezza per gli occhi ed un viaggio tra le nuvole per il palato. E, nell’epoca del mondo globale e del grano modificato geneticamente, la cazzateddhra conserva la fragranza del sapore inviolato dal tempo.

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