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Rocco Zecca da Porto Cesareo a tutto campo: tra tamburello, Notte della Taranta e Terra Santa

a cura di Dario Dell’Atti

L’Arneo Tamburine project guidato dal musicista della Notte della Taranta, Paglialunga Giancarlo, dal 2017 riunisce sul palco in un’unica ronda i più grandi tamburellisti salentini e non. Come tradizione vuole, i tamburellisti riuniti in un cerchio (ronda), riproducono ritmi di tammurriate e pizziche, canti d’amore e di lavoro, accompagnando chiunque voglia tuffarsi nei balli e canti della tradizione.

Quest’anno tra i tamburellisti doc del mediterraneo, troviamo come ospite il musicista Rocco Zecca, da poco tornato alle “sacre sponde” della casa natale di Porto Cesareo. Classe ’73 l’eclettico architetto, cantante e musicista Rocco Zecca, vanta un curriculum musicale invidiabile.

Dopo un esordio in giovanissima età come cantante e tastierista, si approccia inizialmente alla musica tradizionale salentina, suonando per due anni con il Canzoniere Grecanico Salentino di Daniele Durante, (primo gruppo di musica popolare in Puglia). Prosegue con gli Xanti Yaca, gruppo neretino tra i primi in Puglia a sperimentare sonorità di tutto il Mediterraneo, nonché gruppo spalla degli storici Inti-Illimani.

Da questa esperienza il suo interesse si sposta sulla musica mediterranea e mediorientale, solca palchi importanti in Italia e all’estero. In Toscana tiene corsi di percussione a cornice e fa parte della band di musica mediterranea “Bizantina”, con i quali incide ben tre dischi, oltre a quelli incisi con il Canzoniere Grecanico e con gli Xanti Yaca.

L’intervista esclusiva a Rocco Zecca da Porto Cesareo.

Ciao Rocco, è un piacere intervistare un musicista cesarino. Raccontaci come ti sei avvicinato alla musica e all’idea di suonare il tamburello?

– Il colpo di fulmine è avvenuto nella primavera del 1992, con il concerto dei Ghetonia sul sagrato di Santa Croce a Lecce. Era la prima formazione dei Ghetonia, con al tamburello Pierangelo Colucci che è stato il primo tamburellista moderno in Italia, sicuramente il più interessante.

Vedendo lui, da appassionato di tutta la musica, principalmente di Jazz, capì che il tamburello non era solo uno strumento da accompagnamento della musica tradizionale italiana. Attenzione, dico italiana perché il tamburello non è solo strumento salentino!

Insomma ciò mi fece innamorare e mi diede la possibilità di lasciare le tastiere, il mio primo strumento. Il vero e proprio approccio con la musica invece è avvenuto grazie al Professore Fiumara nel 1982. Mi fece musicare una mia canzone dal titolo “Cisaria ‘Namurata“, la registrazione casalinga reperibile su You tube.

Dalla discografia si capisce che sei un tamburellista salentino atipico, quindi mi chiedo: che tipo di percussionista sei?

Sono un tamburellista mediterraneo. Tutto parte dalla notte di San Rocco a Torre Patuli nel 1995 dove comprai il mio primo tamburello in piazza, un tamburello di ‘mesciu Ninu’. Allora non si poteva parlare di festa del paese, ma di festa della piazza, qualcosa di esclusivo. C’erano le ronde dei vecchietti a ogni angolo. Quella nottata passata a suonare con gli anziani fu il mio vero battezzo.

Però per indole, amo la musica mediterranea, e per questo, devo dire grazie alla comunità marocchina di Porto Cesareo. L’estate passavo le serate sui muretti e in tarda notte, aspettando la chiusura delle bancarelle, quando mettevano la loro musica, ascoltavo musicisti come ‘Rai’ e Khaled. Ero affascinato da questo mondo.

Ho suonato tradizione salentina per anni, dal 1996 al ’99 con il Canzoniere Grecanico Salentino, insieme a Daniele Durante. Contemporaneamente ho dato inizio alla lunga collaborazione con gli Xanti Yaca, un gruppo di giovani musicisti di Nardò, legati alla tradizione, ma più aperti alle sonorità mediterranea e non solo. E’ li che mi sono spinto oltre.

Nella tua carriera vanti molte collaborazioni, hai mai suonato per il concertone della Notte della Taranta?

– Ho suonato diverse volte per le “ragnatele”, ovvero per i diversi eventi della programmazione della Notte della Taranta che portano poi al concertone finale. Nel 1998 ero alla notte di Daniele Sepe in piazza a Melpignano: c’erano si e no cinque mila persone, mentre oggi…

Diciamo che La Notte della Taranta è nata come un laboratorio di incontro tra personalità di altri linguaggi musicali con la musica tradizionale salentina. La fusione, usiamo il termine giusto , l’incontro di culture, parere mio, sta nel DNA italiano. Ad esempio Uccio Aloisi ascoltava e conosceva opere liriche e non si sottraeva a esibirle in contesti popolari.

Ho ascoltato la tua musica. Tu suoni, canti e scrivi canzoni?

– Da piccolo scrivevo, oggi lascio fare a quelli più bravi. Mi piace vestire con gli arrangiamenti, non mi definisco solo un tamburellista. La mia peculiarità è che sono anche un cantante, e strimpello molti strumenti. 

Il tamburello nel mediterraneo è associato alla voce ed è proprio collaborando con gli Xanti Yaca, che ho potuto unire voce e strumento e parlo non solo del tamburello. Ho studiato diversi strumenti a cornice, il Riqq, il bendhir, o a calice come come la darbuka, insomma tutti strumenti non italiani. Il riqq è la forma più alta dello strumento della musica classica araba.

Per quanto riguarda la scrittura ho scritto canzoni a scuola a 9 anni con il professore Fiumara. Poi ho sempre composto arrangiamenti per un altro mio gruppo, ovvero i Bizantina. E tutt’ora mi capita di creare musica. L’ultimo progetto è di musica elettronica con un artista israeliano.

Rocco Zecca da Porto Cesareo in azione con il suo tamburello.

L’esperienza in Terra Santa e i canti dei pescatori come sogno per il futuro.

Ecco compare Israele, come mai quest’amore per la musica mediorientale?

– Diciamo che l’apertura totale alla musica mediorientale è avvenuta con Zohar Fresco, l’anno in cui partecipò alla Notte della Taranta con Noa. Io l’avevo conosciuto a Firenze mesi prima e così, lo ospitai a casa mia a Porto Cesareo (a mangiare l’aragosta). Zohar è il più grande percussionista di percussioni a cornice di tutti i tempi (a mio parere). Fu lui a invitarmi a suonare in Israele nel 2002 dove mi innamorai perdutamente della musica mediorientale.

Come è stata quell’esperienza in Terra Santa?

– Quando arrivai lì c’era una qualità di musicisti impressionante, il meglio della Turchia, Grecia, Israele e Palestina. Io che avevo 29 anni mi trovai totalmente impreparato a uno shock del genere, tanto che mi venne la febbre per l’ansia. Zohar fu bravissimo a farmi sentire a mio agio. Conobbi un ventaglio infinito di strumenti che non conoscevo e mi sentivo esattamente come quella notte del 1992 sotto la chiesa di Santa Croce a Lecce.

Straordinaria performance di Rocco Zecca da Porto Cesareo a Gerusalemme.

Cosa consiglieresti a un ragazzo che si avvicina al tamburello?

– Non ascoltando musica per divertentismo, mi approccio alla musica esattamente come quando studio un libro. Quello che non mi piace è l’approssimazione: vedo molti gruppi che fanno cover di altri gruppi musicali tradizionali, che a loro volta fanno cover, senza la necessità di andare alla fonte della musica tradizionale.

Ciò crea folklore e non cultura! Per fare buona musica popolare italiana non occorre essere bravissimi musicisti. L’approccio deve essere consapevole, ci vuole consapevolezza prima di andare sul palco a proporsi. Quindi a chi si avvicina alla musica popolare salentina, consiglio di cercare la musica nella sua stessa famiglia, quella cantata dalla mamma o dagli zii, magari rivedendola, riarrangiandola e suonarla senza troppe pretese.

Dopo di ciò uscire di casa, cantare per strada, viaggiare, fare esperienza e poi tornare nel proprio territorio per arricchirlo.

Progetti per il futuro?

– Essendo figlio di pescatori, mi piacerebbe fare un progetto ben preciso con uno studio alle spalle, sui canti dei pescatori. In Israele avevo lasciato l’idea di suonare musica popolare italiana rivisitandola, tanto che ho collaborato con artisti di musica elettronica. Ma ora che sono tornato in Salento, sento l’esigenza di creare un progetto che richiami le mie radici e il mio lungo viaggio in terre altrui.

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