Il fornaio a Porto Cesareo: un’arte rintracciabile dal Cinquecento in avanti
a cura di Salvatore Muci
Sin dall’antichità o dalla preistoria, si hanno notizie che sul nostro territorio, grazie ai lavori della Sovrintendenza di studi archeologici di Bari, e prima ancora dell’Università di Napoli, della scoperta di pietrame a chianca che serviva a cuocere pane. Ciò è stato scoperto nelle località La Strea e Scalo di Forno. Notizie riguardanti ciò, si riscontrano nella documentazione di secoli scorsi, dal ‘500 in poi, quando all’interno della fabbrica delle locande site sul lungomare di Levante, c’erano dei vani che componevano tale costruzione, vari forni a cuocere pane e altro cibo.
Molto probabilmente erano gestiti da fornai neretini che tenevano in affitto i locali del Duca di Nardò. Costoro, da testimonianze scritte, erano visti quasi sempre a far legna per i camini a forno, nelle Macchie dell’Arneo. Uno di questi ultimi documenti che riguardavano la presenza delle locande, erano dei passaggi di proprietà, da Don Ruggero della Ratta ai signori leccesi, Bernardini – De Paolis e i fratelli Libertini. Infine a Don Francesco Muci da Nardò.
I primi e i secondi erano una perizia del Tribunale di Terra d’Otranto in Lecce, i secondi e il terzo, un rogito di notaio leccese. Si ha conoscenza che dal 1870 in avanti, sull’attuale via Manzoni, verso le strade che portano a Piazza Risorgimento, era presente un forno per cuocere pane e alimenti simili, portato avanti da una famiglia di Veglie: tal Elisabetta Mazzarella, moglie di un certo Nicola Peluso da Taranto, pescatore in Cesaria.
Il fornaio a Porto Cesareo: giungiamo all’evoluzione post – autonomia.
Questa tradizione col passare degli anni fu ereditata dalla nipote, Addolorata di Enrico e Concetta Ratta. Verso gli anni ’20 – ’30 si ha informazione, che in una corte sita in via Ludovico Ariosto, dell’esistenza di un forno gestito dalla famiglia Rubino di Nardò, vicino alla casa di Luigi Greco di Felice.
Ritornando alla signora Addolorata, coniugata ad Alfonso Tarantino (pescatore) ebbe dapprima la casa in una corte alla casa dei nonni, in via Manzoni. In seguito trasferì la sua attività nell’abitazione del marito, nell’attuale via Cilea, coadiuvata dai figli Antonio e Cosimo. Entrambi in seguito gestirono per proprio conto la loro attività, in due diversi forni, siti sempre sulla stessa strada. Il primo in un immobile dov’era prima il deposito della legna, il secondo dov’era l’abitazione dei genitori.
Nello stesso tempo, nella frazione neretina e poi dal 1975, comune autonomo, c’erano due altri panifici: uno gestito sul corso Garibaldi dalla signora Maria Viola Colelli di Angelo, moglie di Francesco D’Andria, e delle figlie, Giovanna, Bianca e altre due sorelle. L’altro in via Mozart, dal signor Luigi Greco di Felice, sposato con la signora Papa, e dai figli Raffaele, Felice, Antonio e le loro due sorelle.
Foto di copertina per l’arte del fornaio a Porto Cesareo: Luigi Greco con la sua famiglia.