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Nubifragio del 1957 nel Salento: un incubo a cielo aperto

a cura di Dario Dell’Atti

L’ottobre del 1957 per gli abitanti della terra del Salento sembrava essere iniziato come tutti gli altri anni. L’estate era finita da poco, i costumi da bagno dei bambini avevano lasciato il posto al grembiule della scuola. Gli adulti sempre affaccendati nei campi mondavano le vigne dopo la vendemmia, si guardavano la terra per il granturco.

La prima settimana del primo mese autunnale volgeva al termine. Le famiglie aspettavano il vestito elegante per la messa della domenica, il giro in piazza, il caffè del corso, la grande abbuffata delle 13.

Nubifragio del 1957 nel Salento: quasi 300 millimetri d’acqua!

Il cielo quel primo sabato del 1957 dopo aver regalato mesi e mesi d’azzurro e sole, iniziò a rimbombare e a vestirsi di grigio. La pioggia iniziò a cadere lenta sulla terra rossa, il tintinnio dell’acqua sulle foglie invadeva inesorabilmente i campi, l’aria cupa escluse la luce lunare.

Basolato e muri bianchi luccicavano all’aumentare della pioggia, le statue dei santi sulle facciate delle chiese piangevano. Il cielo aprì i rubinetti quasi a riscattare quel regalo d’afa fatto durante l’estate. 

Piovve per 17 ore consecutive: quasi 300 millimetri d’acqua scrosciarono nelle strade del Salento. Le poche macchine galleggiavano per le vie, i raccolti da buttare, danni per milioni di lire. Le terre comprese fra Otranto, Maglie, Taurisano, Ruffano, Presicce, Leuca furono messe in ginocchio dall’alluvione del 1957. Quel terribile weekend ha segnato inesorabilmente la vita di tutti i cittadini che dovettero rimboccarsi le maniche e ricostruire tutto quello che “il nubifragio del 1957” aveva portato via dal Salento.

Cosa avvenne a Presicce? Il ricordo di Giuliana Lubello.

A Presicce, si dovette ricorrere alle barche per poter salvare le persone che erano riuscite a salire sui tetti delle case di campagna, dove ancora abitavano. I giorni passavano e le cantine continuavano ad essere allagate, le vozze di vino, di cereali e legumi, là dove c’erano, continuavano a galleggiare. La gente aveva tanto da fare per salvare il salvabile: il corredo delle figlie, le provviste dell’estate, gli animali che erano sopravvissuti, i ricoveri per le bestie.

Dopo alcuni giorni, si sentì un forte sussulto, come un terremoto. I nostri nonni sapevano quello che stava succedendo: era la vora che era riuscita a liberarsi dai detriti, dai rami e dai vari oggetti trasportati dalla pioggia torrenziale: aveva fatto il ruttino. Ed ecco qui che come per incanto anche le cantine cominciarono a svuotarsi.

I nostri nonni non avevano studiato e non sapevano che quel fenomeno, che aveva bloccato tutti gli inghiottitoi, successivamente liberati, si chiamava la legge dei vasi comunicanti. Anche se non ne sapevano il nome, conoscevano molto bene le evoluzioni e sapevano come gestirle perchè facevano parte della saggezza antica, dell’esperienza tramandata da padre in figlio senza libri scritti, ma dalla conoscenza del vivere quotidiano.

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