Il barbiere artista Mimino Peluso a Porto Cesareo
Personaggio cesarino per antonomasia, dove la leggerezza dell’essere nasconde la reale essenza della vita stessa.
a cura di Raffaele Colelli
Una mattina di un lunedì afoso di metà giugno mi recai a casa di Mesciu Mimino Peluso il barbiere artista, per un’intervista, tra l’altro programmata da tempo, per conto del mensile “Ecclesia“. E credetemi, nemmeno a farlo apposta capitò proprio il giorno di un inizio settimana in cui tutti i barbieri d’Italia di solito riposano, anche se lui a settantadue primavere è da alcuni anni in pensione.
Il portoncino di alluminio color oro satinato lungo via Catalani era aperto. Da lì le note di Fernando un famoso brano dei mitici Abba si diffondevano leggere per l’intero isolato. Prima che varcassi la soglia della stanza e ancor prima di chiedere gentilmente permesso di entrare, vidi con mia grande meraviglia Mesciu Miminu che accomodato su una poltrona da barbiere abbozzava sopra i fogli a righe di un quadernone e su un pentagramma musicale, tra l’altro tratteggiato da lui, le note a seguire della canzone che era attento ad ascoltare dal suo voluminoso mangiacassette anni ’60. Più di un dispositivo musicale era sempre stato, per lui, un fedele e inseparabile compagno.
Spesso caricato sulle spalle e a tutto volume per delle lunghe passeggiate in paese. Oppure accomodato sul sedile posteriore della sua Fiat Tipo con i vetri rigorosamente abbassati, mentre Azzurro di Celentano rockettava all’impazzata. Con quel suo fisico minuto, spalle strette, camminata dinoccolata, occhiali da vista Tom Ford, capelli brizzolati, baffo e pizzetto da Dartagnan, mi dava l’impressione fosse un consumato musicista di jazz, quelli che spesso si sentono suonare sulle strade della Louisiana.
Mimino Peluso, il barbiere artista che circonda la sua vita di musica.
Comunque Mesciu Mimino si potrebbe definire, a ragion veduta, il personaggio per antonomasia con le sue semplici stravaganze e il modo del tutto originale di interpretare la vita. La tipica vita d’artista a trecentosessanta gradi dove la leggerezza dell’essere nasconde la reale essenza della vita stessa. E ciò era evidenziato non solo dal suo aspetto fisico, ma addirittura dalle sue cose. Come le numerose fotografie in bianco e nero che riempivano le pareti della sua casa riportando la mia mente e i miei ricordi a tempi passati. Intanto la memoria olfattiva riempiva le mie narici emozionandomi e tutto intorno a me sembrava prendere vita.
Così come i tanti strumenti musicali, fisarmoniche, chitarre e mandolini posati in bella mostra, vecchi e consumati quarantacinque giri sparsi ovunque. E le file interminabili di cd stipati negli scaffali selezionati per categoria e per anno. La stanza in cui mi trovavo sembrava più che altro un cilindro magico di un prestigiatore da dove potevano saltare fuori oggetti vintage e introvabili.
Dopo alcuni minuti chiuse il suo quadernone a righe. Si riportò su una poltrona di vimini e con un cenno mi invitò a sedermi accanto a lui. Accesi l’app della registrazione del mio cellulare e incominciò a riempirlo con il racconto della sua avvolgente storia.
Gli anni della gavetta, utili ad apprendere il mestiere.
Aveva all’incirca undici anni quando iniziò a fare il garzone da barba nel salone di Mesciu Fiorino Faggiano. Era ubicato a pochi metri dalla pescheria del compianto Vittorio Falli. Scopa e paletta, ripuliva il pavimento disseminato di capelli e peli. Azzardava di tanto in tanto a qualche insaponata sotto lo sguardo imperterrito del suo maestro.
Purtroppo, la sua, fu una breve esperienza. Il proprietario del salone in questione, di punto in bianco, decise di chiudere battenti ed emigrare al nord Italia, precisamente a Milano. Il piccolo Mimino non si perse di coraggio e dopo alcuni giorni trovò impiego presso l’altro salone da barba gestito da Mesciu Micheli. Ma anche qui durò poco, e dopo qualche mese si trasferì in via Garibaldi dove Mesciu Ucciu Ratta aveva il suo salone.
E da lì ebbe inizio il vero e proprio tirocinio che gli permise con il trascorrere degli anni di imparare e perfezionare il mestiere di barbiere. Era diventato così bravo che molti degli affezionati clienti lo preferivano ad altri garzoni per farsi sistemare barba e capelli. E in concomitanza a quegli anni diede sfogo alla sua seconda, ma non meno importante, passione, la musica.
Mimino Peluso il barbiere artista e bassista con il suo “complesso”.
Aveva diciassette anni quando insieme a dei suoi amici coetanei mise su un complesso (come si chiamava negli anni ’60 – ’70). Il gruppo musicale era composto da cinque elementi: Antonio Presicce chitarra accompagnamento, Piero Zilli chitarra solista, alle percussioni Franco Tarantino, la voce di Mimino Minosa.
Lui, Mimino Peluso invece suonava il basso, marca Eco, (ci teneva a precisare). Lo acquistò con i soldi guadagnati da apprendista barbiere, da Mesciu Ginu sartore. Le prime lezioni in chiave di basso gliele impartì il mitico Cosimo De Pace, un omino monco che si muoveva su una sedia a rotelle e suonava divinamente diversi strumenti.
Ma tutto finì quando nel 1970, all’età di diciannove anni. Subito dopo il militare l’allora giovane Mimino decise di aprire poco prima di Natale e a pochi metri da piazza Risorgimento, e grazie all’aiuto di suo padre Teodoro Peluso, la sua tanto sospirata e modernissima sala da barba.
Gli affari per fortuna andarono da subito alla grande. Dopo circa un anno conquistò una nutrita clientela, tant’è vero che ebbe la necessità di assumere alle sue dipendenze e sotto la propria maestria, un paio di volenterosi ragazzi. Dicevano di lui che come faceva la barba Mesciu Miminu non lo faceva nessuno. La sua fama addirittura giunse tra i sobborghi di Milano dove vivevano alcuni emigranti salentini.
Comunque il fatto più sorprendente era che tra le sue fila di clienti annoverava diversi nomi illustri sia dello sport che dello spettacolo. Tra questi, solo per citarne alcuni vi erano: Drupi, Di Somma, Moriero, Giuliano San Giorgi, deliziandoli tra l’altro con la musica dell’ampio repertorio delle sue infinite musicassette che manovrava come un esperto e consumato deejay.
E dopo anni di lavoro il momento del meritato riposo.
Dopo quarantacinque anni ed esattamente nel 2015 e all’età di 65 anni Mesciu Miminu decise che era tempo di prendersi il suo meritato riposo. Così chiuse bottega e andò in pensione. A casa come ricordo si portò dal suo salone una delle tre poltrone da barbiere dove per il solo piacere di farlo sistema barba e capelli a qualche suo cliente amico affezionato, che conforta ancora con il ritmo musicale delle sue mitiche cassette.
Appena dopo il suo eccezionale racconto spensi l’app di registrazione del mio cellulare e lo salutai ringraziandolo. Lui, ricambiò il saluto, caricò l’enorme mangiacassette sul sedile anteriore della sua Fiat Tipo, abbassò rigorosamente i finestrini, mise in moto e sfrecciò via, mentre The Dark Side of the Moon si diffondeva per le strade del paese. (fine)