Lo scarparo a Porto Cesareo: nobile tradizione
Un lungo excursus ricordando un’arte in disuso. A Porto Cesareo dagli anni ’30 in poi si ricordano illustri personaggi che si sono alternati nel riparare le scarpe.
a cura di Salvatore Muci
La produzione calzaturiera nel mondo ha sempre primeggiato nelle vendite per la sua qualità del prodotto, come l’industria britannica nelle Church’s, le Clarks e le vecchie Barrow’s ed altre marche. L’Italia nel mondo dell’industria calzaturificia è stata da sempre ai primi posti. Abbiamo esportato scarpe in tutti e cinque i continenti.
Soprattutto al nord, dal Medioevo ai giorni nostri, tale fabbrica ha dato molto lavoro ai fratelli Rossetti, Ferragamo, Zanin, Zanobetti, Varese etc. Se al Settentrione d’Italia c’è stata la fabbricazione, al Sud da Roma a Siracusa è sorto un frequente artigianato locale di calzolai o i cosiddetti ciabattini, nel gergo meridionale e quindi anche quello salentino, lo scarparo; colui che svolgeva tale mestiere, riparava le scarpe, in tutte le rattopazioni possibili.
Lo scarparo a Porto Cesareo: Macchia, Pasanisi e Mesciu Ntunucciu.
Uno che a Torre Cesarea si ricorda della vita di un tempo è un certo Oronzo Macchia. In verità lui giunse sino alla borgata neretina dalla sua Aradeo, per svolgere lavori di manutenzione durante la bonifica dell’Arneo; licenziati al termine della loro fatica, non tornò al paese natio, ma ricominciò a svolgere il mestiere di calzolaio. Aveva in via Vittorio Alfieri uno stanzino pieno di scarpe da aggiustare e quando io ero ragazzino, negli anni ’60, era un piccolo garage, per auto di piccola cilindrata.
Con lui c’era un altro concittadino, Angelo Pasanisi, che teneva la sua bottega in via Garibaldi. A metà anni ’30 prese la strada dell’Etiopia e di lui non si ebbe più notizia a Torre Cesarea.
Dopo ci si ricorda d’un altro scarparo in Porto Cesareo, un tal “Mesciu Ntunucciu”, Antonio Rizzato da Monteroni, che teneva la sua bottega in via Garibaldi. Frequentemente consegnava le scarpe ai clienti a domicilio, andando di persona nelle loro case.
Dagli anni ’60 in poi: Orlando, “Mesciu Ginu” e Muci
Per tutti gli anni ’60 a Porto Cesareo sorse un primo piccolo negozietto di calzature in via Giacomo Leopardi, gestito da Giuseppe Orlando; nel detto locale lavorava anche alla sistemazione di scarpe, le consegnava come se fossero nuove. Era affiancato da qualche “discipulu”, così era denominato in paese il ragazzino che lo coadiuvava nel lavoro.
In via Silvio Pellico, su una scalinata posta accanto al Bar da Mario, dov’era l’abitazione d’un certo signor Nicolscenkow, il genero, Mesciu Ginu proveniente da Monteroni, occupava una stanza del suo domicilio, per la riparazione di scarpe. Ciò avvenne dagli anni ’60 ai primi ’80, in seguito cessò la sua attività di scarparo.
Il mercato delle scarpe a Porto Cesareo giungeva da tutto il Salento.
Ma nell’artigianato locale, c’era anche dell’altro, quando nel mercato infrasettimanale del giovedì, giungevano da tutti i paesini del Salento a esporre le scarpe del loro negozio all’interno della propria baracca; ne arrivavano diversi coi loro mezzi carichi di scatole di scarpe, parcheggiavano i loro furgoni e sistemavano al meglio la tenda.
Il mercato dapprima era ubicato in Piazza Risorgimento, in seguito fu spostato in via Silvio Pellico, dalle pescherie al piazzale della Pro Loco, dopo sulla Riviera di Ponente e infine dov’è oggi. Dal 1970 in poi, un altro artigiano aprì in Porto Cesareo in via Monti, la sua bottega di calzolaio con annesso negozio di scarpe: era Cosimo Muci, conosciuto come “Mesciu Miminu”.
Oggi, ormai anziano, ancora è là nel laboratorio della sua bottega, dove sono gli arnesi da lavoro, per riparare le scarpe. Mimino è l’ultimo in questa cittadina a svolgere un mestiere ormai estinto in molti paesi. Con lui si conclude una tradizione della nostra Porto Cesareo del ‘900.
Mesciu Mimino lo ricordo anche come portiere nelle partite di pallone. Sembrava un giaguaro per come saltava per prendere il pallone.
Ricordo benissimo anche mio cugino “Mesciu Pippi Orlando” al quale devo riconoscenza per le volte che, gratuitamente, mi ha riparato le scarpe, spesso facendomi sedere sullo sgabello per attendere mentre le riparava.