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Opera Nazionale Combattenti e la famiglia Viva

Originari di Felline si trasferirono a Torre Cesarea per eseguire numerosi lavori manovali. Contribuirono allo sviluppo economico e sociale voluto dall’Opera Nazionale Combattenti.

a cura di Salvatore Muci

Con la Prima Guerra Mondiale, si istituì l’Opera Nazionale Combattenti (ONC), ente pubblico avente personalità giuridica e gestione autonoma. Fondato in Italia già nel 1917, con lo scopo di concorrere allo sviluppo economico e al miglior assetto sociale del paese, provvedendo alla trasformazione fondiaria delle terre e all’incremento della media e piccola proprietà; anche mediante opera di bonifica.

Svolgeva anche un’azione sociale per agevolare ai reduci e combattenti la ripresa delle loro attività civili. Nel complesso delle opere e dei lavori che si dovevano eseguire per la messa a coltura delle terre improduttive o insalubri per tutta l’Italia, dalla Puglia, dal Salento e precisamente dall’Arneo, giungevano persone che dovevano lavorare.

Fino alla nostra Torre Cesarea da molti centri del Capo e da altri limitrofi, anche comuni più a nord, arrivavano molti operai manovali a eseguire lavori materialmente duri. Come lo spietramento, spaccapietre coi picconi, cosiddetti “cozzittari”, mastri scalpellini bravi a lavorare la pietra; carrettieri che dovevano caricare molto fango e pietrame; e poi fabbri e falegnami, lavoratori del ferro e del rame, i cava monti e tant’altra manovalanza.

Il primo ad arrivare è il signor Rocco Viva.

Tra le tante famiglie che emigrarono sino al Porto di Cesaria, una giunse da Felline, frazione d’Alliste (Lecce): i Viva. Dapprima arrivò il signor Rocco, chiamato dall’autorità locale d’Alliste, per eseguire grazie al suo mestiere, di lavorare la pietra con piccone e serra i lavori di bonifica; cioè del prosciugamento delle paludi d’Arneo, insieme a tanti colleghi manovali.

Lo seguì successivamente sino a Torre Cesarea la consorte Beatrice Simonetti, la quale portò dietro il giovane Francesco e i suoi fratelli e sorelle. Anche Francesco (Ciccio) Viva divenne un bravo fabbricatore. Abile nel lavorare la pietra con lo scalpello e tutto l’occorrente per saper tagliare bene “li quatieddhi”, di tufo bianco.

Egli col padre e i fratelli più piccoli, i primi tempi anche in periodo fascista, erano pronti a faticare per innalzare e delimitare le nostre campagne limitrofe e maggiormente addentrate nell’Arneo, dei lunghi muretti a secco.

E nell’ambito dell’Opera Nazionale Combattenti costruivano anche i furnieddhi.

E all’interno di distese zone erano a eseguire costruzioni agrarie, delle vere dimore dove abitavano i contadini, i “furnieddhi” (fornelli). Per tutto l’Arneo in ogni proprietà esistevano i fornelli abitati soprattutto da giugno a metà novembre da gente che coltivava e arava la terra. In linea di massima la famiglia Viva era conosciuta principalmente nell’esecuzione di lavori con la pietra a secco, messa e posta una sull’altra.

Erano pure loro a costruire a Porto Cesareo e fuori, le case e le abitazioni coi cieli a stella; oppure lavori di particolare pavimentazione e basolati di piccoli mattoni o ciottoli nei giardini; le “chianche” sulla terrazza, ma anche negli orti dove c’erano i pollai.

Francesco Ciccio Viva e l’arte dei nuciddhari.

Nella vita Francesco (Ciccio) Viva era attento alla partecipazione di varie manifestazioni. Ricordiamo quella del 4 novembre, quando era tenuto dal Presidente, a portare sulle spalle il tricolore. In tutte le domeniche e festivi era nei pressi di Piazza Nazario Sauro con la sua bancarella colma di frutta secca, coadiuvato da familiari. Erano i cosiddetti mestieranti “nuciddhari”.

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