ARTE & SALENTO

Il Carnevale di Massafra, radicata tradizione

Tanti gli aneddoti di rilievo: dal giovedì dei monaci sino al lancio di fagioli ed arance tra signori e borghesi.

La Redazione

Se c’è un aspetto che la nostra testata ha nel cuore è diffondere la conoscenza e il culto della tradizione. Il Carnevale nel nostro territorio si riserva da sempre un posto speciale. Pensiamo ad esempio al noto “Carnevale di Massafra”, considerato tra i più rilevanti in Puglia. Secondo la tradizione la rassegna parte dal 17 gennaio, giorno di Sant’Antonio Abate, con la rituale benedizione degli animali.

Poi da lì in avanti, il giovedì diventava l’appuntamento di riferimento, distinguendolo con nomi originali. Come non ricordare il giovedì dei monaci, quando reciprocamente sia i preti che gli stessi monaci usavano invitarsi l’uno a casa dell’altro; il giovedì dei cornuti o degli sposati invece si celebrava con pranzi abbondanti a suon di salsicce arrostite e vino a volontà; non da meno il cosiddetto giovedì dei pazzi riservato e più adatto ai giovani. Infatti girovagavano nel paese travestiti da sposi, oppure gobbi o addirittura zoppi.

Il divertimento però non finiva qui. Come tralasciare il lancio dei fagioli da parte dei “Signori” sulle carrozze, ai quali rispondevano con arance ed insalata i “borghesi”.

Il Carnevale di Massafra odierno parte ufficialmente nel 1953.

Tutto questo si materializzava in tempi molto più antichi. Per avvicinarci ai giorni nostri facciamo un balzo nel 1951, quando alcuni ragazzi di Massafra diffusero la falsa notizia di una corrida. Sugli innumerevoli manifesti vi avevano riportato la data, che coincideva con l’ultima domenica di Carnevale e la piazza più importante dove ritrovarsi. Risultato? Spuntarono fuori con un originale corteo guidato da un enorme toro tutto di cartapesta, portato da due giovani, un veterinario vestito di bianco e un cavaliere in groppa a manici di scopa.

È il 1953 quando il comune ufficializza la I Edizione del Carnevale di Massafra e la relativa sfilata dei carri. Una costruzione che richiedeva mesi di duro lavoro, per poter formare i numerosi pupi di cartapesta. Di pari passo si radicavano nell’uso comune le maschere tipiche.

Il “Gibergallo”, un pagliaccio divertente con un gallo che tiene al suo guinzaglio; poi “Lu Pagghiuse” a rappresentare il contadino del luogo, con la sua borsa a tracolla e la “Cupa cupa”, strumento tipico della tradizione popolare.

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