SANTO DEL MESE

Padre nostro: cosa cambia?

a cura di Vittorio Polimeno

Molti credono che l’espressione “lingua morta”, riferita al Latino, stia ad indicare che esso non sia più in uso o che non sia una lingua ufficiale di uno Stato; nulla di più errato! Il Latino, ad oggi, è la lingua ufficiale dello Stato del Vaticano (insieme all’Italiano) ed è correntemente utilizzato nei documenti ufficiali emanati dalla Santa Sede. Lingua morta infatti è un’espressione che si utilizza per indicare una lingua che è perfetta e non ha più bisogno delle speculazioni linguistiche derivanti da linguaggi utilizzati da minoranze o altre realtà comunitarie, per trasmettere un concetto ben preciso.

Padre nostro: cosa cambia?

Questo preambolo era d’obbligo per spiegare il lavoro svolto dalla commissione che ha modificato, se pur in maniera lieve, il Messale Romano. Una delle modifiche che ha fatto molto discutere riguarda la preghiera per antonomasia, insegnataci da Gesù, il Padre Nostro. Gli storici sono concordi nell’affermare che Gesù abbia insegnato la preghiera dei Cristiani in una lingua che all’epoca era correntemente utilizzata presso la sua gente, l’Aramaico.

Si è passati poi al Greco, con la stesura dei Vangeli in forma scritta, per poi giungere a noi in Latino e quindi in Italiano moderno. In questa trafila di traduzioni e interpretazioni era prevedibile che qualcosa dovesse essere oggetto di perfezionamento. Il verbo Aramaico utilizzato nel testo originale è “tal’an” accanto alla negazione “w-la” che si traduce come non portare; è evidente che la richiesta da fare a Dio è quella di aiutarci a tenerci lontani dalle situazioni di tentazione. La forma che è stata oggetto di correzione nel Padre Nostro, infatti, è solo quella italiana in quanto “non ci indurre” lascia ad intendere che sia Dio a provocare le nostre debolezze. In Latino l’espressione “ne nos inducas in tentationem” è rimasta invariata in quanto il suo senso è chiaro, “in caso di tentazioni aiutaci a restarne lontani” ovvero “non abbandonarci”.

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