ARTE & SALENTO

Lu Titoru di Gallipoli, la Caremma e la polpetta di traverso…

a cura di Annairis Rizzello

Conoscerete sicuramente Pulcinella e Arlecchino, vero? Meno conosciuti, ma facenti parte della cultura carnevalesca di Gallipoli sono “La Caremma” e “Lu Titoru”. Chi è Lu Titoru? Di lui sappiamo pochissimo, quasi nulla. Qualcuno dice che era un militare, rifacendosi probabilmente alla tradizione di San Teodoro, che era un soldato romano martirizzato e venerato, a partire dal IV secolo, in Medio Oriente.

Ma in realtà l’unico dato certo della maschera – simbolo della città bella, Gallipoli, è che si tratta sicuramente di un personaggio del popolo simile a Pulcinella e Arlecchino, celebri maschere che fanno parte della Commedia dell’arte.

Ma Lu Titoru, a differenza loro, non ha un’identità precisa, né una storia, né un passato. E neppure un costume che lo faccia riconoscere come ad esempio Pulcinella con il volto bianco e nero e camice bianco. Di lui c’è solo la salma (un pupo di cartapesta come tanti) distesa su un carro fastoso, accompagnato da quattro uomini travestiti da anziane donne, con il volto infarinato e annerito.

Lu Titoru di Gallipoli, uno splendido momento di bizzarria e teatralità.

Sappiamo solo che è morto a seguito di un’indigestione di purpette (forse una gli è andata di traverso). Ora lo vediamo su un carro funebre con quattro chiangi morti ai lati che fanno diventare il tutto una pantomima farsesca e grottesca, alla quale si aggiunge il trasporto funebre, con il fantoccio che alla fine viene bruciato, con l’obiettivo di purificare le influenze malefiche e rinnovare la natura.

Durante il trasporto funebre il feretro è accompagnato dalla moglie del Carnevale, la Quaresima, ovvero la Caremma gallipolina, in questo caso madre de Lu Titoru. Poi varie maschere col volto bianco e nero, che cantano in coro il pianto funebre, ovvero le chiangi morti gallipoline. Chi è, dunque, “Lu Titoru”? È una maschera classica per eccellenza del carnevale moderno, ovvero la personificazione del Carnevale stesso nel suo ultimo drammatico, splendido e bizzarro momento di ritualità.

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