SPAZIO STORIA

Tabacchine del Salento: Donne con la D maiuscola

a cura di Vanessa Paladini

L’attività delle tabacchine del Salento ha avuto un ruolo chiave all’interno del comparto produttivo. Le operaie chiamate “tabacchine” sono state una categoria altamente combattiva: uniche lavoratrici ad esprimere l’esasperazione di un sistema politico-agrario-economico, malsano e permeato dallo sfruttamento. La giornata lavorativa cominciava ogni mattina, alle 7 in punto e con il suono acuto di una sirena.

Un minuto dopo tale ora, il portone d’ingresso alla fabbrica veniva chiuso e alle ritardatarie, alle quali non era minimamente concesso di giustificarsi, non rimaneva che tornare a casa. All’interno della sala di lavorazione ciascuna operaia svolgeva un compito preciso.

Vi erano le spulardatrici addette a separare le foglie di tabacco; le cernitrici addette a dividere le foglie in base al tipo di appartenenza e al colore. Poi le spianatrici che stendevano le foglie di tabacco e, una volta composte a mazzetti, le consegnavano alle torchiatrici per la confezione delle ballette. Le operazioni, supervisionate dalla “maestra”, ossia la dirigente della fabbrica, venivano svolte nel massimo silenzio.

Il lavoro si interrompeva a mezzogiorno per riprendere un’ora dopo e concludersi alle 16:30. Il prolungamento del lavoro non veniva retribuito e spesso era alimentato da alcuni sotterfugi, ai quali si aggiungevano profonde carenze contrattuali e latitanza di legislazione previdenziale.

L’immagine in alto è emblematica: tante tabacchine del Salento, proseguono il loro incessante lavoro.

Nonna rivoluzionaria: le tabacchine del Salento

a cura di Dario Dell’Atti

Avete presente la vecchia nonna di un vostro parente o magari la vostra di nonna; vestita di scuro, intenta a farne mille che comunica a riti e dispensa proverbi. Ecco, ora immaginate se questa donna, ormai così bianca e indifesa, sia stata in gioventù un membro della protesta delle tabacchine. Quella, che nell’autunno del 1944 scese in piazza per i diritti delle donne, manifestando e subendo le cariche dalle gendarmerie leccesi.

Proprio cosi, poveri noi sprovveduti, la nonna è una rivoluzionaria, e magari non lo sa. Magari a muso stretto come dice lei, ha solo lottato per i diritti che le venivano negati: “salari equi, contributi, la pausa pranzo o gabinetto”.

Riflettendoci la parola “rivoluzionarie”, casca a pennello per queste madri coi pantaloni. In un meridione povero di fine anni ’40, con l’Italia da ricostruire, il patriarcato e la condizione delle donne ben lontana da quella attuale. Le prime a rivoltarsi contro il sistema e a esigere diritti sul lavoro, furono le tabacchine del Salento.

A dare organizzazione a questo esercito autonomo, fu il sindacato leccese capitanato dalla caparbia Cristina Conchiglia, leader della lotta e successivamente politico del partito Comunista. Combatterono per anni, fino a che molte istanze non si trasformarono in diritti della neonata Repubblica.

La famosa canzone “Fimmine fimmine”, riportata di seguito, che oggi cantiamo e balliamo a ogni sagra di paese, e soprattutto alla “Notte della Taranta”, non ci deve solo far sorridere e battere le mani. La canzone di protesta, in ogni sua strofa racconta uno squarcio di quegli anni così difficili, dove fortunatamente c’è stata quella nonna vestita di nero, che gira per casa, ricama e cucina e per fortuna ha difeso i diritti di tutti.

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