La peste del Manzoni
a cura di Giuseppe Gorbelli
L’epidemia di peste che colpì Verona nel 1630 fu la stessa che colpì tutte le principali città europee, compresa la vicina Milano. La vicenda della peste a Milano è narrata dal Manzoni nel XXXI capitolo de “I Promessi sposi” e in un saggio storico “Storia della Colonna Infame”, originariamente parte della stessa opera e poi pubblicato autonomamente nel 1840.
La peste del Manzoni
L’approccio dello storico Manzoni alla vicenda della peste è stato da molti, compreso il noto filosofo Benedetto Croce, definito moralista. In effetti in Manzoni esiste l’attitudine ad analizzare il comportamento del popolo e dei protagonisti delle vicende. La storia infatti è per Manzoni prima di tutto un mezzo per educare l’allora nascente stato italiano. Il capitolo narra come a Milano, all’inizio del contagio, non si credesse che quella fosse una vera e propria epidemia di peste; le autorità cittadine la definirono infatti come una comune “febbre pestilenziale”.
L’epidemia era giunta a Milano portata da una truppa di Lanzichenecchi, terribili mercenari austriaci, che, assoldati dalla Repubblica di Venezia, si stavano dirigendo a Mantova dove era in corso la guerra per la sua conquista. Fu così che la peste si diffuse ben presto nella città: al contagio era sufficiente infatti il contatto con l’abito di un malato. Vista la facilità con la quale la peste si trasmetteva, risultarono insufficienti le misure adottate dalle autorità cittadine per contrastarla. A loro si rivolge parte dell’aspra critica del Manzoni.
Anche la Chiesa contribuì a modo suo alla diffusione del contagio, organizzando delle processioni che avevano lo scopo di chiedere la grazia per la città, ma che di fatto favorirono l’ammassarsi di sani e malati nello stesso luogo. Manzoni è impietoso anche nei confronti delle credenze popolari ed in particolar modo di quella superstizione, che voleva alcuni uomini detti “untori” occuparsi di ungere con olio infetto gli stipiti delle case per farne ammalare gli abitanti. Moltissimi furono i casi di persecuzioni: ad esempio Guglielmo Piazza (commissario di sanità) e Gian Giacomo Mora (barbiere).